Adulti in Azienda: La Rivoluzione del Lavoro che Serve Ora

Di Daniela Oliboni e Gianandrea Iapichino

Il futuro ci sta raggiungendo, e questa volta sembra essere in anticipo.

Il CEO ci guarda negli occhi e chiede: “Siamo pronti?”

Ma per cosa?

Pronti a sfidare i paradigmi esistenti, ad abbracciare un nuovo modo di pensare e agire di fronte alla rapida evoluzione del panorama aziendale.

 

Perché, in effetti, non si tratta solo di capitalizzare le funzioni dei sistemi tecnologici acquistati dal CIO.

Il tempo presente mette in discussione la stessa visione del lavoro e dell’organizzazione e chiede di adottare una mentalità più aperta e fiduciosa verso le persone e gli strumenti che possono aiutarci.

 

Perciò possiamo dire che ci troviamo di fronte all’esigenza di sostituire vecchie credenze limitanti con visioni e credenze nuove, con le quali modellare questa realtà.

Quando parliamo di credenze, ci riferiamo a quei pensieri che settano i perché della realtà che osserviamo.

Spesso questi perché sono legati ad un passato antropologico e sociale: l’individualismo e il capitalismo, enfatizzando l’interesse personale e il profitto, alimentano l’idea di una netta separazione tra bene della proprietà e quello dei dipendenti. Il dualismo cartesiano e il management scientifico Tayloristico promuovono una visione meccanicistica e gerarchica del lavoro, dove chi pensa e progetta è separato da chi esegue e mette a terra.

 

Facciamo esempi di credenze oggi ancora molto diffuse:

“I dipendenti lavorano duro solo per i bonus.”

“I manager decidono, i dipendenti eseguono. Questo è cruciale per l’efficienza.”

“La standardizzazione dei compiti massimizza la produttività.”

“Le decisioni importanti richiedono la mia approvazione.”

“Concentrarsi sui risultati a breve termine è più pragmatico che seguire visioni astratte.”

“Se le persone fanno lo smart working, non lavorano.”

 

Riconosciamo in queste convinzioni l’applicazione delle precedenti correnti di separazione che originano una divisione tra “genitore che guida” e “bambini che eseguono”. Mancano gli adulti sul palcoscenico del presente.

 

Ricordiamo a noi stessi che essere adulti significa essere capaci di autonomia, di responsabilità e contribuire attraverso opere creative a far evolvere la realtà.

Essere adulto significa accogliere l’altro in un incontro generativo, non solo alimentato da aspettative. Significa vedere l’impatto del proprio agire, diversamente da come farebbe un bambino. Significa essere presente, parte attiva e responsabile, oltre il dimostrare o rendicontare.

 

Possiamo dirci che ancora gli approcci prevalenti nell’organizzazione del lavoro si basano sulla diffidenza verso gli “adulti”, introducendo sistemi disciplinanti, intesi a circoscrivere e contenere la responsabilità e la capacità generativa?

 

Molte aziende hanno seguito il cambiamento presente preoccupandosi solo di adempiere a nuove leggi a sostegno di modelli più fluidi e integrati, ma non hanno modificato forme e processi, perché quei leader hanno mantenuto stili manageriali “disciplinanti”, anziché di co creazione. Questi approcci già limitavano fortemente il potenziale produttivo delle aziende prima della diffusione pervasiva delle tecnologie digitali.

 

Oggi, di fronte all’AI accompagnata dal machine learning, si rischia non solo di schiacciare l’individuo che non è trattato come adulto, ma di eliminare dall’azienda la stessa possibilità di fare innovazione. In altri termini, senza gli adulti, ciao ciao al vantaggio competitivo.

 

 

Forse, la credenza bloccante l’evoluzione del nostro sistema è quella che la creazione di valore risulti dalla negoziazione tra posizioni di “bene privato”, come teorizzava Adam Smith. E una conferma a questa ipotesi è nel crescente numero di organizzazioni che mettono nelle loro agende la sostenibilità, senza comprenderne il beneficio comune.

 

Ma che cos’è la sostenibilità se non una dimensione del Bene Comune?

Ed è proprio il Bene Comune la credenza da scegliere, perché è qui che leader e collaboratori si possono incontrare come adulti, portando ancora una volta ognuno la propria dimensione di bene privato ma nella prospettiva di tenere solo quelle parti che possono contribuire alla creazione di un futuro sostenibile per tutti.

Trattiamoci da adulti, co-creaiamo, così bilanciamo la prevedibilità dell’algoritmo, con l’imprevedibilità umana, “disciplinata” da un patto per il Bene Comune che la orienta interiormente e abilita il futuro.

 

 

 

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