Il Passato Stereotipato, il Presente Inclusivo e il Futuro Plastico della Diversità

INTRODUZIONE

Quanto spesso sentiamo parlare di Diversity & Inclusion, ma che rapporto abbiamo con questo binomio nominato così frequentemente? Come reagisce il nostro cervello di fronte alla diversità e come possiamo educarlo?

Le neuroscienze si impegnano nel continuo studio per fare luce sui meccanismi sottostanti il nostro comportamento conscio e inconscio. Così la comprensione di come funzioniamo può aiutarci a mettere in atto azioni e comportamenti davvero coerenti ai nostri valori, abilitanti un maggiore benessere e in linea con la sostenibilità dei sistemi in cui siamo inseriti.

Come è cambiata la D&I nel tempo?

IL PASSATO: UN’EPOCA DI MANCATA CONSAPEVOLEZZA

Cosa intendiamo oggi quando pensiamo alla diversità? E cosa se ascoltiamo la parola inclusione?

Oggi le sentiamo pronunciare insieme infinite volte e le associamo all’esigenza preziosa di eguaglianza, rispetto, tutela e parità.

Tuttavia, nessuno di noi dimentica la fatica con la quale il valore della diversità sia stato reso noto e la difficoltà con la quale, anche oggi, venga protetto. L’ integrazione tra diversità e inclusione non è, e non è mai stata, una cosa semplice.

Le neuroscienze ci insegnano che il nostro cervello tende naturalmente a cercare l’omogeneità e a essere sospettoso verso ciò che percepiamo diverso.

Siamo quindi fisiologicamente predisposti a creare un gruppo di appartenenza, fatto di chi ci assomiglia di più, e a rafforzarne il valore per distinzione da un out-group, di cui estremizziamo i tratti più lontani dai nostri.

Questo accade perché ci siamo evoluti da una specie animale, che era predata e soggetta a minacce di ogni tipo. Doveva tutelare la sua sopravvivenza con azioni e reazioni immediate di attacco, fuga o congelamento.

Di conseguenza, la nostra mente ha sviluppato e rinforzato nel tempo scorciatoie veloci di pensiero, istintive, per proteggersi, difendersi, decidere rapidamente a chi dare la nostra fiducia.

Esiste una parte del nostro cervello più antica, rettiliana, che ancora prima del nostro ragionamento, si attiva automaticamente e risponde per noi.

Questo meccanismo fine, ci è stato utile per milioni di anni, per semplificare la complessità, ed essere presenti oggi. Lo portiamo tuttora con noi come un filtro sugli occhi; liberarsene non è facile. È un retaggio evoluzionistico, risalente a quando ancora eravamo animali.

Per un tempo lunghissimo, ci siamo immaginati e descritti come individui razionali per eccellenza, pensatori strategici e analitici, quando il nostro intuito ha sempre comandato per noi, e ci ha portato spesso a escluderci a vicenda, a non vederci, a giudicarci per semplificare, a trarre le nostre conclusioni un po’ troppo in fretta, alimentando pregiudizi e stereotipie, guidati dalle distinzioni di genere, etnia, religione, lingua, tratti somatici, possibilità fisiche e cognitive.

Siamo stati profondamente ciechi all’inclusione e talvolta l’abbiamo accolta solo applicando regole superficiali, senza riconoscere i filtri che ognuno di noi ha sugli occhi.

Ad esempio, molte aziende hanno praticato per anni una forte discriminazione di genere nelle assunzioni e nelle retribuzioni. Le posizioni di leadership sono state riservate in gran parte agli uomini, e le politiche aziendali mancavano di consapevolezza sulla necessità di un ambiente di lavoro inclusivo. Anche quando poi sono state applicate regole a sostengo di una maggiore equità, il loro impatto non è stato significativo e il cambiamento culturale è risultato poco incisivo.

OGGI: UNO SGUARDO SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO, UN PASSO VERSO L’INCLUSIONE

Nel corso del tempo, tuttavia, è emerso un cambiamento fondamentale nel modo in cui abbiamo iniziato a guardare alla diversità e all’inclusione nelle aziende.

Innanzitutto, ci siamo resi conto che non siamo affatto guidati dal lume di una ragione sempre attiva. La ragione è, anzi, ciò che più di recente si è sviluppato, ma ciò che ci ha permesso di sopravvivere nella storia è da sempre la capacità istintiva di sentire e la velocità di scorciatoie di pensiero che ci portano a semplificare per ottenere risposte rapide ma imperfette.

Cosa succede però quando queste scorciatoie ci portano a evidenziare e stereotipare le differenze?

Le nuove scoperte delle neuroscienze evidenziano che il nostro cervello risponde all’esclusione sociale con una risposta reattiva di dolore. I risultati di tecniche di neuro-imaging rendono chiaro che chi si sente escluso vive l’esclusione con sensazioni equivalenti a quelle del dolore fisico ed emotivo. Il cervello attiva gli stessi circuiti.

D’altro canto, sentirsi accettati e inclusi attiva la produzione di ormoni come l’ossitocina e la dopamina, che favoriscono la motivazione, la creatività e il perseguimento di un risultato positivo che si mantiene nel tempo.

L’inclusione crea un ambiente sociale in cui le persone si sentono valorizzate e rispettate, aumentando così la coesione di gruppo e lo scambio di idee.

Oggi, insomma è evidente l’importanza che riveste l’inclusione, non solo a chi ha sensibilità e buon senso, ma anche a chi ha a cuore gli obiettivi di produttività di un’azienda.

Allo stesso modo ci è chiara l’importanza di uno sviluppo di consapevolezza per poterlo fare. Non bastano regolamenti ben progettati ma è necessario un cambio di mindset.

IL FUTURO: LA NEUROPLASTICITÀ E L’INCLUSIONE INTENZIONALE

Oggi si parla di inclusione della diversità in molteplici ambiti della società, tra cui il lavoro, l’istruzione, la cultura e la vita quotidiana.

Immaginiamo come ambienti inclusivi spazi in cui ogni individuo è rispettato, valorizzato e ha accesso alle stesse opportunità degli altri, indipendentemente dalle differenze personali. Diversità è un valore che consente l’evoluzione, grazie all’unione e all’integrazione di prospettive, backgroud e qualità diverse tra le persone.

Nel futuro immaginiamo che la valorizzazione della diversità prescinderà dalle più comuni categorizzazioni legate al genere, all’età, all’etnia, alla provenienza geografica, ma si ricercherà un approccio incentrato sui talenti individuali.

In questa prospettiva avanzata, la società valorizzerà maggiormente ciò che ogni individuo porterà al tavolo in termini di abilità, competenze e prospettive uniche e disegnerà percorsi di sviluppo differenziati per fare emergere le qualità che ogni persona può esprimere.

Non esisteranno più quindi i talenti per come li intendiamo oggi, ma potenziali multipli da coltivare in modo che ogni persona sia messa nelle condizioni di donare il proprio contributo più alto.

Gli studi di neuroscienze ci sostengono nel comprendere come possiamo adottare approcci più consapevoli per abbracciare la diversità.

Il futuro dell’inclusione aziendale è legato alla consapevolezza e all’azione intenzionale.

Le neuroscienze ci dimostrano che il nostro cervello è plastico, il che significa che può cambiare e adattarsi nel tempo. 

Per promuovere l’inclusione, scegliamo di lavorare sulla neuroplasticità del nostro cervello. Possiamo farlo avendo a mente 3 obiettivi fondamentali:

  • CONOSCERE SÉ STESSI: essere coscienti delle nostre inclinazioni e dei nostri automatismi ci permette di agire in modo più consapevole.
  • CONOSCERE GLI ALTRI: imparare a conoscere gli altri in modo autentico, praticando empatia e flessibilità mentale, questo ci consente di costruire relazioni basate sulla fiducia e sulla comprensione reciproca.
  • COSTRUIRE PONTI: scegliamo di agire come modelli di inclusione, progettando comportamenti che creino collegamenti tra le differenze e promuovendo la condivisione delle best practice.

La consapevolezza e l’azione intenzionale saranno il cuore di questo cambiamento e le fondamenta su cui costruire una cultura inclusiva e sostenibile.

Noi di Hermes ci impegniamo a sostenere questo cambiamento, lavorando al fianco di persone e organizzazioni per implementare modelli di business sostenibili e promuovere una cultura dell’open mind.

La responsabilità delle aziende, come la nostra, è creare un sistema economico circolare, orientato al benessere delle persone e della società.

Come possiamo, individualmente e collettivamente, contribuire a costruire ponti tra le differenze, superando gli automatismi del passato? La sfida è aperta, e la risposta risiede nelle scelte che facciamo adesso.

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