Siamo aereoplanini di carta o siamo barche a vela

La biologia del Cambiamento

Facciamo un cambiamento! Ma come?

Siamo tutti in viaggio e il movimento è in ogni cellula del nostro essere.

Oggi però, per muoverci insieme con gli altri, il cambiamento lo presentiamo e gli diamo una forma.

Nei nostri coaching raccontiamo che il cambiamento ha i colori dell’empatia e sono colori che ogni leader dovrebbe avere dentro di sé.

Siamo areoplanini di carta, in balia del vento o, siamo barche a vela e il vento è amico della rotta che vogliamo tracciare?

Una variabile che fa la differenza è quanto siamo pronti a cogliere la dimensione dell’altro. Senza l’altro non c’è alcun cambiamento.

Innanzitutto c’è da notare questo:

Il cambiamento è anche una questione di chimica e biologia.

Tanto dipende dalla chimica delle parole.

Le parole per aprire la biologia del cambiamento

Come pensiamo che le persone in viaggio con noi siano aperte al cambiamento se il messaggio che veicoliamo ha un suono duro, è chiuso, suona come una dichiarazione di guerra?

Nel presentare il nostro progetto di cambiamento dobbiamo utilizzare parole che siano aperte per aprire gli altri alla possibilità. Devono essere comprensibili ma soprattutto scegliamo parole nuove, perché il cambiamento è anche novità e possiamo accoglierla questa prospettiva.

Ma che cosa ci serve per comunicare parole

·       Aperte

·       Comprensibili

·       Nuove

Ci serve accogliere, ci serve comprendere prima il bisogno che hanno gli altri di capire.

Possiamo farlo trasferendolo in 3 domande da porci prima di ogni viaggio:

·       Perché io?

·       Perché ora?

·       Perché noi?

Di cosa sono fatte queste domande per innescare la biologia del cambiamento?

·       Quali sono i benefici reali e attesi che vediamo lungo il percorso?

·       Che tipo di risorse abbiamo e quali dovremmo avere? Abbiamo tutto l’occorrente?

·       Quali rischi vediamo, reali o presunti, sul cammino? Quali paure, quali insicurezze?

La nostra prospettiva di cambiamento si integra alla dimensione del noi. Ecco perché è importante che sia un viaggio di gruppo, cui tutti sentano di poter partecipare.

Come si appropriano le persone del cambiamento che indichiamo loro?

Lo fanno se i progetti che portiamo non sono chiusi ma aperti, o meglio, da completare e co-costruire.

A volte sottovalutiamo il potere di un progetto incompleto perché ci alletta di più l’idea di arrivare agli altri con la sicurezza dei contorni tracciati già a penna. Eppure una linea solo tratteggiata da spazio, per essere disegnata a più mani.

Possiamo riempirli insieme i tratti e farlo con delle domande. Perché le domande, spesso, contano molto più delle risposte.

·       Che nome diamo al cambiamento? Perché siamo sempre scossi dal vento ma ora c’è qualcosa di nuovo

·       Dov’è la differenza che fa la differenza?

·       Cosa tiene spinto il freno? Quanto è grande il sassolino sotto l’acceleratore?

·       Di cosa è fatto questo cambiamento? Che forma ha?

·       Quali sono gli elementi di discontinuità con il passato?

A volte le risposte vengono meglio disegnando e possiamo farlo insieme, come un popolo in cammino.

 

Si dice che la mappa ha un grande potere nel darci chiarezza, perché i ragionamenti e le rappresentazioni non le collochiamo mai su una linea retta. Allora perché non disegnare un’isola immaginaria dove mettere i punti del cambiamento?

Ricordiamoci anche il potere di pensare per “come se”.

Ma cosa significa quando parliamo di biologia del cambiamento?

Abbiamo raccolto tanti vissuti, tante esperienze, tante testimonianze. Sappiamo che ogni trasformazione ci tocca, talvolta in modo delicato, talvolta in modo decisamente più incisivo e ha toni diversi che spaziano da varie sfumature di grigio, ai rossi più accesi, ai blu profondi. Possiamo dipingerli di verde, vederli con speranza, o di giallo, un giallo intenso, come una lampadina accesa, come l’energia.

Il cambiamento è contenitore di emozioni, di fragilità e di vulnerabilità, ma molti ancora vedono l’azienda come un luogo dove le emozioni non possono entrare.

Un presupposto in cui crediamo è che tutto ciò che non viene nominato non possa essere risolto. Tutto ciò che non comunichiamo non trova lo spazio per trasformarsi, tanto che comunicazione e trasformazione possono essere quasi sinonimi.

I “come se”, le metafore, ci permettono di nominare guardandoci da fuori, lasciando il giusto spazio da noi per vedere con più lucidità.

Ora possiamo avviare il cambiamento, ma ricordiamoci talvolta di tornare al campo base.

Abbiamo bisogno di camminare avanti così come di fare tappe lungo il sentiero:

Possiamo chiederci:

·       Dove siamo?

·       Come stiamo?

·       Dobbiamo ritararci?

·       Celebriamo i nostri successi, allarghiamo l’orizzonte e arriviamo al cambiamento.

L’esperienza stessa del movimento ci porta a ritararci, sintonizzarci, andare avanti ancora.

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