• Il desiderio di aggiungere

    Il desiderio di aggiungere

    Stiamo muovendo i nostri passi su un cammino nuovo, dettato dai tracciati che il lavoro ibrido ha disegnato sul terreno.

    Il desiderio di aggiungere è più forte che mai.

    Il cammino delle aziende oggi ha i contorni e le forme intensamente e profondamente umani.

    Lungo la strada le emozioni, i vissuti, le opinioni di tutte le persone occupano sempre più spazio, potremmo dire che costituiscono l’essenza stessa dell’ambiente che ci circonda.

    Abbiamo a lungo parlato della visione, come ciò che ci guida e ci spinge ad intraprendere passi futuri. Ma la visione del futuro si costruisce proprio grazie ad una profonda connessione al sistema e alle persone, le cellule di cui il sistema è fatto.

    La visione è possibile se uno sguardo, o meglio, tanti sguardi, sono proiettati in avanti, se è forte la capacità di sentire, di guardare dentro la complessità del sistema e di pensare radiale; di stimolare il nostro mindset ad apprendere nella forma di mappa mentale, anziché in un binomio causa effetto, imparando a stare nella complessità, la stessa che contraddistingue le più belle tessiture e i dipinti più meravigliosi.

    Di cosa è fatta questa complessità, questo desiderio di aggiungere?

    Che cosa succede oggi?

    Corriamo verso l’innovazione tecnologica, corriamo per ridurre il time-to-market, corriamo per intuire i nuovi bisogni di un mondo sempre più flessibile, dinamico, instabile.

    I contesti sono sempre più competitivi, i prodotti cambiano più velocemente di quanto non si impiega ad affinarli, cresce la competitività, mutano le esigenze delle persone di giorno in giorno, poiché lo stesso ambiente intorno a loro si trasforma ad una velocità mai vista.

    Io cliente cosa desidero davvero? Di cosa ho bisogno?

    Cerco un servizio che non solo mi serva ma sia in risonanza con chi sono.

    È chiaro che non basta avere gli strumenti per sviluppare un progetto tecnicamente perfetto, oggi i prodotti più venduti rispecchiano i nostri valori, la visione di chi vogliamo essere.

    Servono nuove competenze, serve aprire lo sguardo e orientarsi a un ascolto davvero profondo, per cogliere dal terreno anche i segnali più sottili.

    Questo quadro è lo stesso anche per la funzione commerciale delle aziende, per chi diffonde e propone servizi sul mercato.

    Un quadro che potrebbe essere dipinto dal Botticelli, o dal grande Leonardo da Vinci.

    LE BOTTEGHE FIORENTINE E L’ORIENTAMENTO ALLA SCOPERTA

    La stessa rivoluzione di oggi ha radici nel passato e nella storia dell’arte.

    Per vederla entriamo tra i colori e i pennelli di due botteghe pittoriche italiane.

    Nel 1400 Firenze era la culla di due delle più importanti botteghe artistiche, diverse nello stile e nell’approccio: quella di Domenico Ghirlandaio e di Andrea Verrocchio.

    Il Ghirlandaio vantava opere caratterizzate da una ricchezza di armonia e di dettaglio ammaliante per la borghesia dei tempi. La sua arte era connotata da sfumature di perfezione, grazie ad una tecnica e un’accuratezza ineccepibili. In effetti la precisione, nella riproduzione, era il più grosso vanto della bottega; vanto con cui sapeva attirare la ricca borghesia, con la promessa sempre esaudita, di poter riprodurre fedelmente la realtà.

    Il Verrocchio era, anch’esso, riconosciuto per l’incredibile armonia compositiva e per la fedeltà con la quale sapeva riportare anche i particolari più fini, ma lo sguardo del pittore e dei suoi allievi si apriva a molto altro.

    La bottega era un luogo di scambio, di confronto e di cultura. Il maestro mirava ad accogliere realtà diverse, scoprire nuovi saperi anche abbastanza lontani dal mondo della pittura; raccoglieva con passione una costellazione di molteplici punti di vista, circondandosi di esperti di qualsiasi mestiere e disciplina per la passione della scoperta e del nuovo.

    Tra i pittori di questa bottega ricordiamo Da Vinci, Perugino e Botticelli, artisti che amavano osservare, imparare, ed erano appassionati ad ogni forma di conoscenza.

    Tutti conosciamo la bellissima primavera di Botticelli, ma in pochi sappiamo che la varietà di piante che decorano la scena non sarebbe stata dipinta senza che anche un botanico prestasse la sua conoscenza al pittore.

     

    Parliamo dell’espansione continua della propria rappresentazione del mondo, della volontà di spingersi oltre e di ascoltare davvero ogni segnale.

    La riproduzione tecnica oggi non basta più, oggi non basta rendere il visibile, ma bisogna rendere VISIBILE.

    Così faceva la bottega del Verrocchio che non si limitava ad un disegno funzionale alle richieste del committente, era autrice di un’opera autonoma frutto di una formazione dei pittori non solo professionale, ma culturale a tutto tondo.

    Il Verrocchio non chiedeva ai suoi allievi di riprodurre fedelmente la realtà, piuttosto faceva crescere il loro il desiderio di Aggiungere.

    Grazie alla Bottega del verrocchio l’arte del 400 si rivoluziona, l’artista non è più solo un grande esecutore, capace di garantire un elevato livello di qualità, con un terreno prescritto, uno spazio discrezionale. L’artista passa da essere «artefice», quindi artigiano, a vestire i panni di «intellettuale» e quindi creatore di quello che fa.

    Tutto questo fu possibile grazie ad una mentalità generativa e non esecutiva unita ad un forte interesse e contatto con gli stili di vita e le scoperte dell’epoca.

    È proprio in questa cultura e in questa scuola di pensiero che cresce Leonardo da Vinci. Per noi un grande esempio, cui ogni commerciale può fare riferimento.

    LEONARDO DA VINCI: LA VERITA SUL SUO QUADRO “SBAGLIATO”

    Da che punto guardi il mondo, tutto dipende” 

    Jarabe de Palo 

    Ad oggi, le aziende più forti sul mercato veicolano un messaggio inserito in una profonda corrente valoriale. Il cosa fanno è intrisecamente legato al perché. Ma non solo… Sanno immedesimarsi, con cura e attenzione, nel cliente e comprendere in che modo quest’ultimo possa sentirsi rappresentato dal servizio o dal prodotto che acquista. 

    Mettono davvero le persone al centro. 

    Ecco… “Mettersi nei panni dell’altro” è esattamente ciò che nel 1400 il grande artista Leonardo Da Vinci fece, nell’opera L’ANNUNCIAZIONE. Dipinto, posto, fin dal primo momento, all’occhio della critica, che lo ha definito un errore di gioventù, ma come mai? Osservando la vergine si nota che il braccio destro è evidentemente più lungo del sinistro, le gambe sono più corte rispetto all’altezza del busto.

    Eppure, un errore del genere da parte di Leonardo non se lo aspetterebbe nessuno.

    Uno dei massimi esperti di Leonardo Da Vinci, Carlo Pedretti ci porta una visione differente: l’errore di prospettiva è in realtà voluto.

    Se osserviamo l’Annunciazione da una posizione laterale a destra, la sproporzione non è più visibile, anzi, il disegno risulta perfettamente armonico.

    Ciò accade per effetto dell’anamorfismo, fenomeno ottico per cui un’immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, rendendo le figure originali riconoscibili solamente se il quadro viene osservato secondo certe condizioni.

    In effetti è molto probabile che la destinazione dell’opera fosse, una parete, o l’interno di un mobile semichiuso, che sarebbe stato prevalentemente guardato da destra.

    Come visionario, artista, inventore, Leonardo ha studiato con accuratezza e precisione il modo in cui l’osservatore avrebbe percepito l’opera, senza dimenticare la stanza nel quale sarebbe poi stato collocato.

    Un occhio attento al prodotto, al servizio, e a come comunicarlo, non può che essere d’ispirazione alle grandi aziende di oggi, che prima di creare, costruire e modificare, devono saper guardare, ascoltare e connettersi profondamente al sistema.

    Ecco un esempio di come mettere davvero la persona, l’osservatore, il cliente, al centro.

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  • Facciamo un viaggio verso il futuro

    Facciamo un viaggio verso il futuro? Questa è la Sales Excellence

    Oggi la funzione commerciale (Sales Excellence) ha un compito importante: accompagnare e traghettare il cliente in un viaggio dal presente al futuro.

    Cosa significa questo?

    L’espressione Sales Excellence significa che l’azienda non deve più chiedersi come vendere valore in ogni fase del processo di vendita, né la sua attenzione deve essere focalizzata sull’ideazione del progetto tecnicamente perfetto e ineccepibile. La competitività ora è troppo alta perché questo sia sufficiente.

    Le nostre scelte, siano esse scelte di acquisto o di qualsiasi genere, non sono il prodotto di un ragionamento logico estremamente accurato, sono piuttosto decisioni guidate dalle emozioni, dall’immagine che affermiamo di noi stessi, dalle nostre rappresentazioni del futuro desiderato e dalle relazioni che intratteniamo con gli altri.

    Noi, nei nostri percorsi di Sales Excellence con le aziende accompagniamo il viaggio verso il cambiamento e raccontiamo che per mettere a terra qualsiasi progetto è necessario che ci sia armonia e allineamento tra i diversi livelli del sistema quale è l’azienda.

    Lavoriamo affinché lo scopo profondo che muove l’azienda sia in linea con l’orizzonte futuro che vede davanti, con l’immagine di chi è, con i valori che vengono agiti, con le credenze delle persone e le abilità che vengono espresse, con le azioni e con l’ambiente in cui ci si muove.

    Anche l’acquisto è un viaggio di cambiamento, che parte da una decisione importante. Si tratta di mettere in campo una serie di azioni, che sempre di più sono guidate dai valori che sentiamo, dall’immagine che vogliamo dare di noi e dalle motivazioni che ci muovono verso le nostre mete.

    La decisione viene intrapresa con più facilità se questi livelli sono armonizzati e non sono in contrasto. Se ognuna di queste porte viene aperta per guardarci dentro.

    Ma c’è un altro aspetto che non possiamo dimenticarci quando si parla di Sales Excellence

    Già nel 2002 Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, rilevò che tutti gli esseri umani percepiscono il valore delle cose e sono soliti prendere decisioni in uno stato di forte incertezza. Non valutano mai tutte le variabili possibili, come farebbe un calcolatore, per arrivare alla soluzione migliore sul mercato.

    Esiste una formula che spiega in modo eccellente la sua scoperta: DIFFERENZA= VALORE.

    Ma qual è la differenza che fa la differenza?

    Il valore di un servizio oggi è dato dalla differenza tra il mondo del cliente senza la nostra soluzione e il mondo del cliente con la nostra soluzione.

    La contrapposizione tra una finestra sull’oggi, con tutte le sfide e gli ostacoli che presenta, e sul domani, un mondo potenziale fatto di mete a portata di mano. Un mondo SENZA e un mondo CON.

    Nel nostro cervello è proprio questa differenza tra il presente e il futuro desiderato che crea valore.

    Ma che ruolo ha oggi il venditore? Perché si parla di Sales Excellence?

    In questa nuova realtà non funziona più elencare tutti i possibili vantaggi che il nostro prodotto o il nostro servizio possono portare; non funziona nemmeno abbassare continuamente il prezzo per abbattere la concorrenza.

    All’inizio di ogni trattativa un cliente ha un’idea piuttosto precisa del suo mondo SENZA. Senza la nostra soluzione. Alla fine, dovrebbe avere un quadro altrettanto chiaro dello stato futuro, di un futuro CON, e sulla base di queste rappresentazioni orientare le sue decisioni.

    Il venditore sempre di più accompagna, è un consulente ed è il facilitatore di una trasformazione.

    È un partner indispensabile ed è prezioso perché ci permette avere sotto ai nostri occhi tutti gli elementi necessari per decidere bene.

    Il lavoro con il cliente è un lavoro di co-creazione e di co-design, dove insieme si allargano due finestre, quella sull’oggi, per scoprire i bisogni e le richieste emergenti, così come gli ostacoli sulla strada, e quella del domani, per rendere più tangibile questo futuro e schiarire l’immagine per notarne i particolari.

    Occuparsi di Sales Excellence è un processo collaborativo fatto di 3 passi importanti:

    1. l’immaginazione;
    2. la sperimentazione anticipata dell’esperienza verso l’acquisto;
    3. il processo decisionale.

    Cosa mettere in valigia per fare questo viaggio?

    È indispensabile ricordarsi che il cammino parte dal cliente e che il lavoro migliore comincia da un ascolto autentico e profondo.

    Parliamo di un ascolto volto a comprendere l’altro nella sua interezza, che ci permetta di sperimentare davvero il punto di vista del cliente per metterci nelle sue scarpe, per un’esplorazione e per la co-creazione di un’esperienza. Magari è proprio in questo viaggio che il cliente scopre e prende consapevolezza dei suoi valori e di cosa vuole trasmettere al mondo.

    DA COSA POSSIAMO COMINCIARE? Il miglior modo per ascoltare è fare domande aperte e non avere paura di chiedere.

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  • leadership che sa vedere

    La leadership che sa vedere quando ancora non si vede

    I contorni dell’orizzonte tra lavoro e Leadership agili

    Dove ci muoviamo?

    Partiamo da qui:

    NEL PIENO DEL LAVORO AGILE

    Abbiamo parlato di smart working, di remote working e di Hybrid working. Li abbiamo visti e li viviamo sulla pelle e oggi ci hanno condotto a sperimentare nuove modalità di lavoro, lontane da quelle a cui eravamo abituati, forse, più vicine a una nuova aria che si sente respirare fuori.

    Presto scopriremo perché.

    Di cosa stiamo parlando? Oggi il nuovo modello di lavoro viene definito “AGILE” e fa riferimento ad un approccio finalizzato ad una migliore efficienza nel raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione. Questo attraverso la combinazione di flessibilità, di autonomia e di collaborazione tra le persone; puntando sull’ottimizzazione di strumenti e tecnologie e garantendo gli ambienti più funzionali alle esigenze dei lavoratori.

    Il lavoro agile ha quindi l’obiettivo di incrementare la produttività aziendale, favorire la conciliazione dei tempi vita/lavoro e una maggiore sostenibilità ambientale.

    Quali sono gli ingredienti di questa ricetta?

    • Un lavoro scandito da obiettivi e con confini dai contorni sfocati.
    • Un’ evoluzione continua legata ai progressi tecnologici e all’accelerazione impressa dalla pandemia
    • Lo sviluppo di maggiori capacità e di più alte responsabilità in ciascun lavoratore
    • Un contesto instabile, in cambiamento continuo, dove si sente però l’esigenza di investire per preservare il domani e renderlo accessibile e fiorente anche per chi deve ancora venire.

    Qual è dunque la domanda corretta per intuire il futuro dei modelli organizzativi?

    Sono due gli interrogativi a cui vorremmo ora dare spazio:

    1. Cosa vedono oggi i leader?
    2. Parliamo di leader agile o di sistemi di leadership agili?

    Alcuni segnali ci indicano un’importante transizione.

    VIANDANTI SU UN MARE DI NEBBIA

    Disegniamo i contorni dell’ambiente in cui si muove il leader agile.

    Se ripercorriamo la vita di tutti i giorni gli elementi che distinguono i contesti aziendali sono ormai nelle nostre scarpe. Uno di questi è l’accelerazione.

    Ci muoviamo su una strada sterrata e ci muoviamo veloci, talmente veloci che è difficile vedere e talvolta non ci arriva che una scia del perpetuo movimento. Proprio come se fossimo a bordo di un’auto da corsa sulle montagne.

    Quando non vediamo, il nostro cervello tende a semplificare e suddivide in parti. Si tratta di un meccanismo che ci aiuta ad analizzare gli elementi allo scopo di sciogliere i nodi. Stringiamo gli occhi, rendiamo più piccolo il campo e speriamo di vederci un po’ meglio.

    Cerchiamo di semplificare questa complessità, di aumentare il controllo con meccanismi sofisticati, proprio come quando qualcosa ci sta sfuggendo dalle mani e rafforziamo la presa per non farlo cadere.

    Vediamo poco perché il moto è veloce e l’emergenza ci mette nella posizione di inseguire piuttosto che di prefigurare.

    Nel panorama di oggi vediamo una distanza, tra ciò che abbiamo conosciuto finora (un modello organizzativo strutturato, scandito da orari e disegnato in gerarchia) e quello che vediamo germogliare fuori.

    Da una parte il controllo, dall’altra uno spazio sempre maggiore all’autonomia, all’autodeterminazione e all’espressione della propria soggettività.

    CHE COSA GERMOGLIA FUORI? HYBRID WORKING TRA CONFINE E ORIZZONTE

    È arrivato l’Hybrid working e prima è arrivata la pandemia. La nostra domanda è questa:

    L’ Hybrid working è stata una risposta alla pandemia oppure un segnale di un’evoluzione culturale, e di una società che sta ricercando altro?

    La pandemia ha probabilmente accelerato una richiesta culturale che da un po’ di tempo germogliava sotto il terreno.

    Cosa è successo?

    • Abbiamo imparato a coordinarci nella distanza, lavorando molte più ore di quanto la nostra attenzione potesse fare.
    • È cresciuta la responsabilità di molti verso gli obiettivi comuni
    • Le priorità sono diventate più chiare
    • Il lavoro è stato scandito da scopi precisi per ciascuno di noi

    Ma c’è di più per quanto riguarda la leadership

    Da anni le persone sono diventante progressivamente vere autrici, capaci di autodeterminarsi, di esprimersi e di scoprire la loro strada.

    Abbiamo raggiunto il più alto tasso di scolarizzazione e di istruzione, ma stiamo assistendo al fenomeno incredibile delle “grandi dimissioni”.

    Cosa succede? Forse le persone che oggi varcano le soglie dei contesti lavorativi lo fanno armati di sogni e di progetti. Hanno scopi più chiari.

    Una prova? Di recente 400000 persone sono licenziate dalla regione Lombardia per poter riacquistare degli spazi di maggiore espressione di sé, perché hanno deciso di fare altro che fosse maggiormente rappresentativo del proprio significato.

    La loro creatività, o meglio, la loro voglia di creare, è difficile da trattenere, perché creano continuamente: ognuno di noi pubblica la sua vita e il suo pensiero su canali ormai innumerevoli.

    Non siamo disposti a cedere in questo, abbiamo tutti bisogno di trovare un’organizzazione che ci permetta di realizzarli questi scopi e che li intrecci con i propri.

    Forse l’Hybrid working non è che il germoglio di radici meno giovani di quanto si possa pensare.

    Che cosa però ha portato di davvero nuovo?

    Ci siamo allontanati un po’ e talvolta abbiamo smesso tutti di vedere, perchè da casa tante cose non si vedono più.

    Per cominciare non si vede il luogo, non si vede lo spazio, né tutto ciò che lo spazio contiene. Quell’intensità umana di cui l’azienda è contenitore potrebbe disperdersi perché in ufficio molti non ci vanno più tanto, il gruppo non si alimenta più della condivisione di un ambiente comune ma ha bisogno di vivere di qualcos’altro

    Le esperienze vissute sono più significative se sono incarnate, se le viviamo in uno spazio che non è sospeso come quello che vediamo accanto al nostro specchio in webcam. Addirittura le neuroscienze ci raccontano che le codifichiamo in modo diverso, l’ippocampo non le raccoglie come le altre.

    Le emozioni sono meno intense, il senso di appartenenza ad una comunità è appeso ad un filo e piuttosto cambia I suoi connotati.

    È più difficile creare contaminazioni, di idee, di energie, di emozioni e di fiducia. Ci si può anche sentire soli.

    Allora come mai alcune aziende sono rimaste compatte? Perché molti continuano a sentire di voler aderire profondamente agli scopi propria organizzazione?

    Forse oggi le persone ricercano ragioni più profonde, più intense e significative, per investire la fiducia in un’organizzazione.

    L’appartenenza alle organizzazioni oggi si nutre di valori, obiettivi e scopi condivisi.

    Nell’hybrid working le aziende crescono ed evolvono se il purpose individuale e quello organizzativo coincidono per lo sviluppo di entrambe le parti e quindi camminano sulla stessa strada.

    Stiamo vivendo un cambiamento culturale, in cui la persona è al centro, così come lo è la sua espressione del sé e la sua voglia di concorrere alla realizzazione di qualcosa di rappresentativo del proprio significato.

    LEADERSHIP, SE LA NEBBIA SI DIRADA UN PO’

    Torniamo al nostro leader

    Cosa possiamo vedere se, una volta analizzati questi pezzi del puzzle li mettiamo insieme?

    Facciamo un riassunto degli elementi:

    1. Si vede poco, si agisce in fretta e ci si muove tanto: non è facile prefigurarsi il futuro
    2. Ci vediamo poco e non condividiamo lo spazio, cui forse sentiamo meno di appartenere
    3. Si è trasformato anche il significato stesso di sentirsi parte, non deriva più dall’appartenenza ad un luogo ma all’aderenza a scopi che siano comuni.
    4. Sogniamo tutti di disegnare progetti e di realizzare il nostro futuro mettendo in campo I nostri sogni
    5. Forse dobbiamo trovare un modo, per tenere insieme le persone che ora escono da quel “comodo contenitore” fatto di tanto controllo e di strade già tracciate e ben asfaltate

    Da leader, cosa facciamo?

    LEADER AGILE O LEADERSHIP AGILE?

    Che succede nell’organismo-azienda?

    Se ascoltiamo i segnali del terreno possiamo notare quanto i sistemi organizzativi prendano la chiara forma del corpo umano. C’è una rete fitta, di entità autorganizzate, più autonome, distribuite nell’organismo. Ogni cellula ha la capacità di ricevere e di inviare dei messaggi, di elaborarli e generare degli output in modo autonomo. Se dovessero essere centralizzate nel cervello pensante e cosciente tutte le informazioni prodotte da ogni cellula, il sistema in breve tempo andrebbe in tilt e non si dedicherebbe ad altro che alla sopravvivenza.

    Quindi, nel corpo, se ci pensiamo, l’autorità è distribuita perché ogni organo, molecola e cellula ha una propria autonomia e ha responsabilità da assolvere.

    Per uscire dalla metafora: tutti oggi, nelle organizzazioni, hanno una certa autonomia, hanno delle responsabilità, portano avanti alcuni compiti dall’inizio alla fine, anche senza che vi sia un continuo controllo esterno. È fisiologico e funzionale all’evoluzione.

    Allora il leader dove si colloca? Ce n’è veramente bisogno se ognuno è autonomo, responsabile, guidato da uno scopo chiaro?

    NOI ABBIAMO LA NOSTRA VERSIONE DI QUESTA STORIA

    Quello che pensiamo è che oggi la leadership funziona quando il concetto di ibridità viene affiancato in modo forte all’identità della persona e alla sua possibilità di aderire, per valori e per purpose ad un contesto organizzativo.

    Dove purpose individuale e collettivo si incontrano e si sposano, l’hybrid working va nella stessa direzione.

    Noi vogliamo parlare di leadership del futuro, una leadership sistemica, dove però, oggi, il leader c’è e serve, soprattutto in questo momento di confusione, ma non è il paradigma del controllo quello che funziona in questo grande cambiamento culturale

    Parliamo di una leadership intensamente umana, che metta al centro le persone e sappia valorizzarle.

    L’asse più presente oggi è quello della responsabilità. Si delinea con maggiore intensità all’aumentare dell’autonomia che le persone hanno, della corrispondenza tra ciò che scelgono di fare e le abilità che mettono in campo, ma soprattutto dalla coincidenza di strada che permette al purpose personale e aziendale di coesistere e trovarsi in viaggio insieme.

    Le persone vogliono scegliere di lavorare su quello che più piace loro, ma allo stesso tempo, se si trovano nel posto giusto, possono esprimere i loro doni ed interessi in un sistema più ampio a cui aderiscono. Proprio in virtù di un moto che parte dalla passione e da un interesse acceso poi le persone sono attive, autrici, credono in quello che fanno e lo portano avanti con successo.

    Una leadership intensamente umana sa cogliere la dimensione dell’anima delle persona, ma sa anche inserirla e annetterla a dimensioni più pratiche ed operative proprie del sistema.

    Una leadership ad alta intensità non identifica un leader che agisce unicamente nella ristretta prospettiva del suo ruolo, ma che piuttosto sa entrare nel sistema ed esserne parte in modo empatico, il suo agire è delimitato da una cornice liquida. Ascolta, facilita, sente l’emergere dei segnali più piccoli per adattare la realtà che vive. Lo fa insieme ai suoi collaboratori.

    I leader ci sono, sono coloro che riescono a immaginare e a guardare oltre la nebbia, a progettare, proiectare, proiettarsi insomma oltre gli ostacoli.

    Il cervello umano funziona se vede. Lo dicono le neuroscienze ma lo sappiamo da sempre. Il motivo per cui camminiamo in avanti è perché abbiamo nella mente una fotografia a colori dell’orizzonte e se la vediamo possiamo raggiungere la meta. I leader oggi hanno il compito di trasmetterla questa fotografia e di aiutare le persone nella scoperta di questo paesaggio.

    Immaginiamo la tessitura di un finissimo arazzo, pieno di disegni dettagliati e ricchi di colori. leader è colui che prende un filo, lo snoda, e lo indirizza verso la tela, di cui ha ben chiaro il disegno finale, per questo può collocarlo nel posto giusto ai fini di creare il progetto più bello. Da una parte ha visione della complessità, tiene e condivide le redini del senso, dall’altra accompagna, snoda, entra nel piccolo per creare il grande.

    Parliamo di una leadership partecipativa orientata all’ascolto, al supporto, allo sviluppo e al confronto, che possa coltivare le relazioni con i collaboratori in modo generativo, alimentandosi quotidianamente di feedback, considerando la relazione come il vero spazio di azione.

    La complessità oggi non si può sciogliere, ma cogliere. La complessità non è complicazione, piuttosto è interazione e scambio continuo.

    Ha tratti intensamente umani.

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  • Siamo aereoplanini di carta o siamo barche a vela

    La biologia del Cambiamento

    Facciamo un cambiamento! Ma come?

    Siamo tutti in viaggio e il movimento è in ogni cellula del nostro essere.

    Oggi però, per muoverci insieme con gli altri, il cambiamento lo presentiamo e gli diamo una forma.

    Nei nostri coaching raccontiamo che il cambiamento ha i colori dell’empatia e sono colori che ogni leader dovrebbe avere dentro di sé.

    Siamo areoplanini di carta, in balia del vento o, siamo barche a vela e il vento è amico della rotta che vogliamo tracciare?

    Una variabile che fa la differenza è quanto siamo pronti a cogliere la dimensione dell’altro. Senza l’altro non c’è alcun cambiamento.

    Innanzitutto c’è da notare questo:

    Il cambiamento è anche una questione di chimica e biologia.

    Tanto dipende dalla chimica delle parole.

    Le parole per aprire la biologia del cambiamento

    Come pensiamo che le persone in viaggio con noi siano aperte al cambiamento se il messaggio che veicoliamo ha un suono duro, è chiuso, suona come una dichiarazione di guerra?

    Nel presentare il nostro progetto di cambiamento dobbiamo utilizzare parole che siano aperte per aprire gli altri alla possibilità. Devono essere comprensibili ma soprattutto scegliamo parole nuove, perché il cambiamento è anche novità e possiamo accoglierla questa prospettiva.

    Ma che cosa ci serve per comunicare parole

    ·       Aperte

    ·       Comprensibili

    ·       Nuove

    Ci serve accogliere, ci serve comprendere prima il bisogno che hanno gli altri di capire.

    Possiamo farlo trasferendolo in 3 domande da porci prima di ogni viaggio:

    ·       Perché io?

    ·       Perché ora?

    ·       Perché noi?

    Di cosa sono fatte queste domande per innescare la biologia del cambiamento?

    ·       Quali sono i benefici reali e attesi che vediamo lungo il percorso?

    ·       Che tipo di risorse abbiamo e quali dovremmo avere? Abbiamo tutto l’occorrente?

    ·       Quali rischi vediamo, reali o presunti, sul cammino? Quali paure, quali insicurezze?

    La nostra prospettiva di cambiamento si integra alla dimensione del noi. Ecco perché è importante che sia un viaggio di gruppo, cui tutti sentano di poter partecipare.

    Come si appropriano le persone del cambiamento che indichiamo loro?

    Lo fanno se i progetti che portiamo non sono chiusi ma aperti, o meglio, da completare e co-costruire.

    A volte sottovalutiamo il potere di un progetto incompleto perché ci alletta di più l’idea di arrivare agli altri con la sicurezza dei contorni tracciati già a penna. Eppure una linea solo tratteggiata da spazio, per essere disegnata a più mani.

    Possiamo riempirli insieme i tratti e farlo con delle domande. Perché le domande, spesso, contano molto più delle risposte.

    ·       Che nome diamo al cambiamento? Perché siamo sempre scossi dal vento ma ora c’è qualcosa di nuovo

    ·       Dov’è la differenza che fa la differenza?

    ·       Cosa tiene spinto il freno? Quanto è grande il sassolino sotto l’acceleratore?

    ·       Di cosa è fatto questo cambiamento? Che forma ha?

    ·       Quali sono gli elementi di discontinuità con il passato?

    A volte le risposte vengono meglio disegnando e possiamo farlo insieme, come un popolo in cammino.

     

    Si dice che la mappa ha un grande potere nel darci chiarezza, perché i ragionamenti e le rappresentazioni non le collochiamo mai su una linea retta. Allora perché non disegnare un’isola immaginaria dove mettere i punti del cambiamento?

    Ricordiamoci anche il potere di pensare per “come se”.

    Ma cosa significa quando parliamo di biologia del cambiamento?

    Abbiamo raccolto tanti vissuti, tante esperienze, tante testimonianze. Sappiamo che ogni trasformazione ci tocca, talvolta in modo delicato, talvolta in modo decisamente più incisivo e ha toni diversi che spaziano da varie sfumature di grigio, ai rossi più accesi, ai blu profondi. Possiamo dipingerli di verde, vederli con speranza, o di giallo, un giallo intenso, come una lampadina accesa, come l’energia.

    Il cambiamento è contenitore di emozioni, di fragilità e di vulnerabilità, ma molti ancora vedono l’azienda come un luogo dove le emozioni non possono entrare.

    Un presupposto in cui crediamo è che tutto ciò che non viene nominato non possa essere risolto. Tutto ciò che non comunichiamo non trova lo spazio per trasformarsi, tanto che comunicazione e trasformazione possono essere quasi sinonimi.

    I “come se”, le metafore, ci permettono di nominare guardandoci da fuori, lasciando il giusto spazio da noi per vedere con più lucidità.

    Ora possiamo avviare il cambiamento, ma ricordiamoci talvolta di tornare al campo base.

    Abbiamo bisogno di camminare avanti così come di fare tappe lungo il sentiero:

    Possiamo chiederci:

    ·       Dove siamo?

    ·       Come stiamo?

    ·       Dobbiamo ritararci?

    ·       Celebriamo i nostri successi, allarghiamo l’orizzonte e arriviamo al cambiamento.

    L’esperienza stessa del movimento ci porta a ritararci, sintonizzarci, andare avanti ancora.

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  • Diversity & Inclusion

    Non di più, non di meno: parità di genere

    La parità di genere

    Sapevi che uno dei principali obiettivi per le aziende e le organizzazioni riguarda proprio l’aumento della presenza delle donne nel mondo del lavoro?

    Oggigiorno ci ritroviamo a vivere una società che viaggia veloce. Ci interfacciamo a differenti prospettive, coltivando l’inclusione e accedendo alla diversità come fertilizzante per il mondo.

    Nel panorama organizzativo, la compresenza di diversi generi è diventata fonte di arricchimento ad ogni livello aziendale e per ogni sua funzione. Ormai avere più “donne a bordo” dell’azienda è un valore dimostrato da più ricerche come prezioso, strategico e straordinariamente efficace.

    Avere una maggiore occupazione del femminile non è solo una questione di uguaglianza tra i sessi, è soprattutto una virtù che incide molto positivamente sul sistema produttivo e sul tessuto economico della nazione.

    A livello aziendale la presenza di donne al potere fa aumentare significativamente i profitti e a testimoniarlo è il Fondo Monetario internazionale.

    Le donne al potere: uno specchietto per le allodole

    La figura femminile rispetto al passato sembrerebbe ritrovarsi ad occupare posizioni molto più importanti. La sua presenza all’interno del Board è sicuramente aumentata, ma si può parlare di parità di genere?

    La presenza femminile rimane sempre circoscritta a posizioni meno dirigenziali di quelle occupate dagli uomini.

    Alcuni esperti ci parlano del percorso delle donne al potere utilizzando la metafora di una “TUBATURA FORATA”.

    Questa immagine spiega il fenomeno che evidenzia un numero di donne occupanti posizioni manageriali che va a ridursi notevolmente man a mano che si sale di gerarchia.

    Le posizioni apicali e il consiglio di direzione hanno una prevalenza decisamente più al maschile.

    Ma perché? Come si collocano le quote rosa in questa cornice?

    Un articolo sul diversity management di Irene Brusini riporta alcune importanti riflessioni tratte dalla tesi: “Rethinking political representation. A new measurement of gender equality in political representation in the EU” elaborata dall’ISTAT.

    Viene sottolineata un’interessante verità sulla parità di genere: oggi la rappresentanza di genere nella classe dirigente viene equiparata direttamente allo strumento che si utilizza per la sua misurazione: un numero; precisamente il numero di donne che ricoprono un ruolo di potere.

    Questo indice viene utilizzato per visualizzare il concetto stesso di pari rappresentanza nel pensiero comune.

    Eppure l’utilizzo di un numero pecca di unidimensionalità e influisce sulla nostra percezione.

    Il metodo quantitativo dagli anni 80 viene privilegiato perché favorisce gli studi sociali e le pratiche politiche, eppure ha grosse limitazioni tangibili:

    1. Un’eccessiva semplificazione può portare ad un’analisi superficiale di fenomeni complessi.
    2. Contrariamente alla narrazione comune che considera i metodi quantitativi come strumenti privi di bias, questi ultimi sono accompagnati da importanti implicazioni politiche. E lo vedremo tra poco.
    3.  Gli enti tendono a modulare strategicamente il proprio comportamento con l’obiettivo di ottenere punteggi più alti anziché concentrarsi sull’affrontare efficacemente le disparità e scegliere la persona veramente più adatta per un ruolo.

    Comprendere il fenomeno

    A volte questi indicatori portano a risposte “politiche” inadeguate e ad una mancanza di comprensione vera e profonda di questo fenomeno.

    Manca un’analisi più sostanziale, che non oscuri l’interrelazione tra sistemi di oppressione e un’osservazione più olistica del well-being.

    Spesso accade che l’equilibrio che si cerca di trovare tra i due generi, si perde durante il processo di selezione, in cui ci si ritrova ad assumere donne soltanto per raggiungere la soglia minima di quote rose imposte dal governo. Ecco che si torna sul dato qualitativo.

    Tale strumento, creato per far sì che entrambi i generi possano essere liberi di condurre una vita piena e soddisfacente al di là del lavoro, è stato utilizzato in maniera erronea: sempre di più le aziende hanno proteso alla quantità rispetto alla qualità.

    Questo atteggiamento, ha condotto, ovviamente, a confermare i pregiudizi già radicati nei confronti delle donne, che si ritrovano ad essere assunte per impieghi che magari non corrispondono alle loro competenze, ma soddisfano i requisiti per fare numero.

    L’ha detto anche Mario Draghi, in riferimento all’assunzione di donne per le cariche politiche: “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Altrimenti si incorre nel rischio che la scelta di delle candidate venga studiata a tavolino.”

    Sai perché accade ciò sulla parità di genere?

    Nel mondo organizzativo, permane ancora l’idea fuorviante che le donne siano meno focalizzate sul profitto e più sui valori sociali dell’attività aziendale.

     Come può, un aspetto così fondamentale, essere valutato come importante ma non essenziale?

    Molti studi evidenziano come la diversità di genere e dei valori che ogni individuo apporta all’interno delle aziende sia una fonte inesauribile di energia.

    In che modo la diversità/parità di genere può arricchire l’azienda?

    Abbiamo visto che un’alta presenza di donne al livello dirigenziale permette di generare maggior reddito operativo. Oltre questo c’è una correlazione positiva tra la presenza di dirigenti donne e l’incentivazione dei valori aziendali, la credenza e l’adesione ad una mission e vision aziendale, anche nel lungo periodo.

    Nell’analisi sulla parità di genere risulta oltremodo evidente poi il contributo umano e relazionale che può conferire a una realtà imprenditoriale una maggiore prevalenza di donne.

     Capacità di ascolto e di comunicazione, abilità di mediazione, accuratezza e scrupolosità, trasmissione di senso e di significato, cooperazione e gestione delle relazioni sono tutte caratteristiche preziose che appartengono di più per natura al genere femminile e che sono molto richieste in un sistema produttivo 4.0 di oggi.

    Anche questa volta vi rimandiamo a una riflessione profonda, a un’apertura di sguardo e a una presa di responsabilità.

    Per andare oltre i numeri; per una cura, un’attenzione, una sensibilizzazione più vera.

    Perché non c’è nulla di più bello che fare coincidere decisioni di valore e risultati di incredibile successo.

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  • PENSARE AL NOI

    Benessere e inclusione: pensare al noi è il sentire necessario per un mondo sostenibile

    Nel contesto geo-politico e socio-culturale odierno assistiamo a problematiche sempre più evidenti e a crisi globali di estrema drammaticità, dalle guerre ancora in atto, al collasso climatico, all’evidenziazione delle disuguaglianze, alla discriminazione razziale.

    Situazioni che impediscono lo sviluppo di benessere e inclusione.

    Per sviluppare benessere e inclusione dobbiamo cambiare pelle, cambiare modo di guardare, partecipare attivamente alla rinascita del nostro paese, e l’unico modo per farlo è pensare al “NOI”.

    Secondo il sociologo ed economista inglese John Elkington lo sviluppo sostenibile è prodotto di P (People, Project, Planet).

    Però è solo partendo dalle persone e dalle loro potenzialità che possiamo impattare le altre dimensioni. Siamo noi il motore dell’innovazione, con le nostre passioni, la nostra energia e i nostri ideali.

    Uno sviluppo sostenibile deve coinvolgere tutta la società intesa come ecosistema. Nelle aziende deve toccare la cultura organizzativa in senso esteso e tutto il sistema di relazioni tra le persone.

    Non è solo importante, è necessario che tutti possano comprendere il cambiamento da attuare e possano assumere un ruolo attivo nel guidarlo.

    Non possiamo farcela da soli, ma se c’è la collaborazione e la volontà di tutta la rete sociale possiamo superare le avversità. Per questo è necessario avere una missione che sia sovra- individuale, in modo da costruire una società migliore e più sostenibile.

    SERVE UN NOI PER SCORGERE L’ORIZZONTE FUTURO

    La situazione drammatica di questo ultimo biennio ci mostra chiaramente la portata della complessità cui oggi assistiamo e l’equilibrio precario in cui ci troviamo.

    Eppure noi vogliamo conoscere e anticipare il nostro futuro e vorremmo poter prevedere ciò che accadrà per calibrare il nostro comportamento nel miglior modo possibile.

    In questo modo possiamo creare progettualità di benessere e inclusione.

    In francese sostenibilità si traduce con il termine “durabilitè”, proprio perché si fa riferimento al compimento di azioni verso il bene comune che siano durevoli nel tempo, che sappiano adattarsi nel modo migliore all’orizzonte futuro.

    Fare previsioni però è complesso. Ci scontriamo con una moltitudine di informazioni il cui sfondo è un clima di ambiguità e di incertezza. Per questo le strategie aziendali sono spesso a breve termine e difficilmente durature.

    LE AZIONI PER UN DOMANI MIGLIORE

    Oggi ancora di più dobbiamo fare in modo che le comunità possano scorgere i loro futuri possibili e raggiungere il domani migliore, inclusivo, pacifico, dove la dignità di una persona non può essere presente a scapito di quella di un’altra.

    Riflettere sul futuro INSIEME è estremamente prezioso.

    Ciò che si realizza effettivamente è profondamente influenzato dagli orizzonti di attesa che coltiviamo. Se per esempio ci aspettiamo che qualcosa andrà male, è probabile che questo accada.

    Avere un NOI è un modo per evitare che queste credenze si auto-avverino, perché le aspettative possono essere integrate e negoziate.

    Se si vogliono produrre azioni che siano durevoli nel tempo non possiamo pensare al futuro guardandolo come un orizzonte lontano, l’oggi deve essere sostenibile.

    Questo significa che la riflessione va estesa a soggetti diversi, di età diverse, poiché possono scorgere orizzonti temporali più o meno vicini.

    Ciò che per una persona più anziana o più adulta appare un futuro lontano o irraggiungibile, per un giovane rappresenta un presente vicino, che condizionerà certamente la sua attuale esistenza, ecco perché acquisisce concretezza e risulta più tangibile.

    La compresenza di più generazioni nel ragionamento sui cambiamenti futuri permette di concretizzare il progetto, estendendo le sue implicazioni.

    Inoltre la scienza stessa ci dimostra che valori inclusivi quali empatia e gentilezza generano un impatto straordinario sulla longevità dei sistemi e sono qualità preziose che consentono ogni giorno di lavorare con successo sui delicati equilibri del mondo esterno.

    Sono un motore per l’accensione di pratiche virtuose che legano a doppio filo il benessere del singolo, quello della collettività e quello del pianeta intero.

    DALL’ “EGOSISTEMA” ALL’ECOSISTEMA

    Molti studiosi oggi ci parlano di sostenibilità e la considerano intrinsecamente legata ad un’autoriflessione sistemica, sui nostri fondamenti culturali e cognitivi. Per sviluppare una teoria sullo sviluppo sostenibile dobbiamo necessariamente focalizzarci sul concetto di società sostenibile in cui il livello di attivazione individuale viene coniugata al livello dell’azione collettiva.

    Facciamo un esempio:

    In un famosissimo Ted Talk intitolato Want to help someone? Shut up and listen! Ernesto Sirolli, economista e politologo italiano, racconta una storia interessante: parla di quando si è recato in Africa tra il 1971 e il 1977, per progetti di collaborazione tecnica al fine di migliorare le condizioni di povertà locale.

    Ogni singolo progetto è fallito.

    Parla della sua prima esperienza, che aveva come scopo quello di insegnare alla popolazione Zambese come coltivare il cibo. Diversi italiani sono arrivati in Zambia per piantare semi in una valle magnifica, vicino ad un fiume, e hanno fatto crescere pomodori e zucchine. Tutto procedeva meravigliosamente e ci si stupiva del fatto che la comunità locale non lo avesse mai fatto prima. Purtroppo una notte 200 ippopotami sono usciti dal fiume, hanno mangiato tutti gli ortaggi e distrutto le coltivazioni.

    Quando gli italiani, sconvolti dal fenomeno, hanno chiesto al popolo africano perché non gli avesse illustrato il problema loro hanno risposto: “perché nessuno ce l’ha chiesto”. Semplicemente è stato implementato un intervento, senza chiedere a chi doveva usufruirne, senza ascoltare e senza alcuna collaborazione.

    Cosa sarebbe successo invece se anche gli Zambesi avessero potuto sedersi al tavolo della discussione?

    In ottica sistemica è fondamentale pensare l’azienda come estremamente legata la concetto di “relazione”, perché si tratta di un sistema dinamico di interazioni, senza le quali è impossibile finalizzare cambiamenti e trasformazioni durevoli.

    Pensiamo questo:
    la parola “economia” deriva dal greco “oikovouia” ed è una composizione di due termini oikos, ovvero dimora, e vouia, amministrazione.

    “Etica” invece, dal greco “ethika” ha come radice “ethos”, che si traduce come “il posto in cui vivere”.

    Infine ecologia significa “studio della casa” perché è composta sempre dal termine oikos e dalla parola “logos”.

    Ecco che anche la fonetica ci suggerisce che non possiamo parlare di economia senza pensare all’etica e all’ecosistema.

    Per il benessere e l’inclusione la radice è comune.

    SIAMO NATI COSÌ, GUARDANDO L’ALTRO PER SCOPRIRE NOI STESSI

    La radice della sostenibilità, la complessità dell’ecosistema, si fondano sull’evidenza che non si può che ragionare pensando a un ”Noi” e scorgendo la fitta rete di relazioni di cui è pregnata la nostra società, in senso esteso.

    La stessa psicologia dello sviluppo umano ci insegna che noi concepiamo noi stessi e distinguiamo la realtà dalla fantasia solo nel momento in cui ci vediamo riconosciuti dall’altro e vediamo che l’altro vede quello che percepiamo anche noi. L’altro quando siamo bambini è come uno specchio, attraverso il quale possiamo cogliere le caratteristiche che ci contraddistinguono.

    È la relazione che ci permette di sviluppare il nostro sè, di conoscere il mondo e di espanderci.

    Prima dell’incontro con l’altro non siamo che un seme, con l’altro germogliamo, possiamo fiorire e aprirci al mondo.

    La vita stessa ci chiede di “essere con”, scoprendo chi siamo e mettendo la nostra peculiarità individuale in rete.

    LA SOCIETÀ SOSTENIBILE ESISTE, RIVOLGIAMO SU DI ESSA LO SGUARDO

    Se analizziamo oggi la nostra società possiamo scorgere chiaramente che stiamo andando già in questa direzione, verso il benessere e l’inclusione. Ognuno di noi vuole contribuire, vuole esprimere la propria opinione e vuole co-creare il futuro.

    I progressi della digitalizzazione hanno contribuito a fornire a tutti la possibilità di dire la propria, di condividere e di raccontarsi, di partecipare attivamente al dibattito sociale.

    Ancora, il nuovo scenario dello smart working, è stato un ulteriore catalizzatore dell’autonomia e della responsabilità di ogni lavoratore, dando il La ad un’organizzazione più flessibile, aperta ed orizzontale.

    Gli studi sull’invecchiamento e sul “Long Life Learning” hanno poi recentemente messo in luce che anche le condizioni fisiche e mentali degli anziani migliorano notevolmente nel momento in cui vengono messi in condizioni di contribuire alla vita pubblica e trovano un’attività virtuosa in cui poter confluire il proprio tempo.

    Infine i clienti dei servizi che la società stessa fornisce hanno ora un ruolo più centrale che mai e compiono scelte fortemente influenzate dall’etica del business, tanto che si parla di “voto con il portafoglio”.

    OLTRE IL FATTURATO

    Secondo le ultime indagini condotte da Accenture su un campione di oltre 30 000 persone, più del 60% dei clienti chiede alle aziende di porre all’attenzione le questioni ambientali ed etiche.

    Le aziende non sono chiamate solo a generare profitto, creare occupazioni e produrre beni, ma è fondamentale che si impegnino davvero per il benessere e l’inclusione comune.

    Questo significa sapersi calare nei panni di tutti gli stakeholders prima di prendere decisioni,

    Significa generare azioni dall’impatto positivo per tutta la comunità e promuovere un ambiente aperto, dove tutte le persone possano mettersi in gioco e far sentire la propria voce.

    Si tratta di ripensare ad un modello economico che metta al centro il valore delle relazioni sociali e consideri i beni “relazionali” in prima battuta, perché l’economia stessa è una “immagine della gente” e di ciò che vive ogni giorno. Occorre mettere al centro del mercato le persone, affinché ci sia reciprocità, senso civico, felicità e gratuità.

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  • LEADERSHIP & NEUROSCIENZAE

    L’organizzazione prospera grazie al feedback bidirezionale e qualitativo: la risposta delle Neuroscienze

    Il leader aperto al dialogo e al confronto è più efficace: lo dicono le Neuroscienze

    Una recente ricerca neuroscientifica condotta da Michela Balconi e colleghi ci dimostra che molto spesso, nel contesto lavorativo, quando un capo esprime una valutazione verso un dipendente a carattere qualitativo, e quindi a parole, ottiene più benefici rispetto a quelli che ricaverebbe con un rating numerico.

    L’effetto si amplifica se si genera uno scambio tale per cui entrambe le parti possono condividere il proprio punto di vista.

    Quindi non è solo il capo a dare un feedback ai dipendenti, ma lo scambio è bidirezionale, ovvero, questi ultimi hanno la possibilità di esprimere a loro volta le proprie convinzioni, le proprie emozioni e i propri vissuti.

    È stato scoperto che attivare un dialogo generativo durante un momento di feedback e di valutazione è estremamente benefico, sia per le persone che vengono “valutate”, sia per il leader che le valuta, sia, infine, per l’organizzazione in senso esteso.

    Forse per il futuro lo stesso termine “valutazione” potrebbe essere sostituito da quello di feedback, o ancora meglio, da un confronto, dove entrambe le parti possono apportare un contributo significativo.

    Predisporre un ambiente più aperto e orizzontale può permetterci di allargare il nostro sapere, di scoprire nuovi modi di agire e di guardare.

    LA COMUNICAZIONE APERTA NUTRE L’ORGANIZZAZIONE

    Secondo Ashley Hardin, ricercatrice e docente all’Università di Washington, le interazioni diadiche sul posto di lavoro sono «gli elementi costitutivi delle organizzazioni e il tessuto della loro vita» (Hardin, 2018).

    Gli scambi con l’altro favoriscono il cambiamento di un comportamento, contribuiscono alla formazione dei propri valori.

    Permettono di integrare, con la negoziazione, le proprie differenze favorendo l’empowerment personale.

    La comunicazione è uno strumento di monitoraggio, di incentivazione e di strategia ma si lega anche alla scoperta e all’elaborazione di significati; alla chiarificazione e al processo decisionale.

    Le parole possono fare la differenza nel determinare il benessere dei lavoratori, la loro motivazione ed il loro rendimento. Anche qui per noi è cruciale mettere le persone al centro.

    Lo scambio tra il “capo” e i suoi dipendenti ha un ruolo decisivo proprio in virtù dell’influenza che il leader esercita in quanto guida.

    Diverse ricerche dimostrano che i dipendenti di un’azienda «rispecchiano i loro leader; letteralmente», e lo fanno attraverso il funzionamento dei neuroni specchio, coinvolti nell’imitazione e nella sintonizzazione.

    COME PUO LA DIREZIONE DI UN’AZIENDA CONTRIBUIRE AD ALIMENTARE QUESTO CIRCUITO VIRTUOSO?

    La leadership in campo organizzativo è un processo poliedrico articolato in un ecosistema complesso.

    Il leader deve continuamente prendere decisioni e gestire situazioni nuove in evoluzione, ancora di più oggi, dove il lavoro richiede una sempre maggiore quantità di imprevedibilità e di rischio.

    L’adozione di uno stile di leadership cooperativo potrebbe essere la risposta più efficace e funzionale a gestire la complessità di relazioni, emozioni e comportamenti.

    Nello scorso articolo abbiamo presentato il personaggio di Filippo Brunelleschi quale leader brillante e capace, non solo per la sua grande abilità di vedere oltre e scorgere la complessità e l’interezza di un progetto, ma soprattutto perché raggiunse i suoi obiettivi “negoziando” la sua visione con le persone che potevano contribuire a realizzarla.

    Il suo successo si deve anche ad una grande disponibilità al confronto, poiché coglieva nei contributi degli altri la possibilità di apprendere.

    Oggi le ricerche dimostrano anche scientificamente che tutti i capi di un’azienda dovrebbero avere le stesse virtù.

    Lo stesso concetto di “valutazione” potrebbe essere sostituito da quello di feedback, o ancora meglio, da un confronto, dove entrambe le parti possono apportare un contributo.

    NON PIU’ IL RATING MA IL FEEDBACK BIDIREZIONALE ED ESPRESSO A PAROLE: LO DICONO LE NEUROSCIENZE

    Una ricerca scientifica condotta da Balconi e colleghi nel 2019 osserva come molto spesso, nel contesto lavorativo, una valutazione espressa a parole, sia significativamente migliore di un rating numerico.

    L’effetto poi è ancora maggiore se lo scambio comunicativo non è unidirezionale; e quindi è solo il capo a dare un feedback ai dipendenti, ma bidirezionale, ovvero, questi ultimi hanno la possibilità di esprimere a loro volta le proprie convinzioni, le proprie emozioni e il proprio punto di vista.

    Per dimostrarlo gli autori hanno utilizzato il neuro-management.

    Che cos’è? E’ una forma applicata di neuroscienza sociale volta ad osservare i comportamenti interpersonali che si verificano all’interno dei contesti organizzativi. E’ particolarmente utile per indagare anche i meccanismi inconsci e inconsapevoli che sottendono il nostro comportamento.

    QUALI MECCANISMI NEURO-FISIOLOGICI SI ATTIVANO NELLA PERSONA CHE VIENE VALUTATA O RICEVE UN FEEDBACK DAL PROPRIO CAPO?

    Diversi studi passati hanno evidenziato che solo il 40% delle volte i dipendenti di un’azienda migliorano a seguito delle valutazioni e dei feedback dei propri capi, anzi è stato riscontrato anche un alto rischio di peggioramento (38 %).

    Sembra che un fattore discriminante sia proprio l’utilizzo di una valutazione di tipo verbale e narrativo piuttosto che una basata sul rating numerico. Assegnare votazioni numeriche produce ansia, paura, emozioni negative ed evitamento.

    Diventa evidente che un’atmosfera lavorativa basata sull’ empatia, sull’ ascolto reciproco e su una solida comunicazione, aperta e orizzontale, può assumere una funzione regolatrice all’interno delle dinamiche interpersonali organizzative.

    Per dimostrarlo sono state condotte negli ultimi anni diverse ricerche basate su questionari e test auto-valutativi, che presupponevano però una consapevolezza forte di sé e della propria relazione con l’altro.

    LA RISPOSTA DELLE NEUROSCIENZE

    Le neuroscienze forniscono risposte ancora più precise. Osservano meccanismi sia controllati che automatici o inconsci, e ci permettono di vedere l’organizzazione con occhi nuovi.

    Balconi, Venturella e collaboratori, nel loro esperimento del 2019, hanno chiesto a 10 dirigenti e a 10 dipendenti di simulare un colloquio in coppia, dove erano tenuti a produrre una valutazione dell’efficacia delle prestazioni lavorative del proprio compagno.

    In alcuni casi, solo al dirigente era richiesto di valutare le prestazioni del dipendente. Talvolta, il dipendente poteva esprimere la propria opinione sul suo capo. In questo modo, sono stati osservati sia gli effetti relativi al ruolo, sia la differenza tra un feedback unidirezionale e uno reciproco.

    Infine hanno confrontato due condizioni distinte, una con rating numerico e l’altra con una valutazione qualitativa delle prestazioni.

    Durante i colloqui ad ogni partecipante sono state registrate l’attività cardiaca e quella elettrica della cute; se l’aumento della prima infatti tende a rilevare situazioni avverse e preoccupanti, l’incremento della seconda è più spesso associata all’attenzione emotiva, all’ entusiasmo o al piacere.

    Emerge che, mentre la valutazione quantitativa può provocare paura e generare emozioni negative o meccanismi di evitamento, un feedback qualitativo e discorsivo è più efficiente, utile, e viene ascoltato con maggiore attenzione, soprattutto se vi è la possibilità di contraccambiare.

    Ecco perché è quest’ultima condizione quella migliore; in grado di fornire maggiore benessere e soddisfazione, non solo nel dipendente/collaboratore ma anche nel leader

    È quindi fondamentale lo scambio di feedback qualitativi e bidirezionali, affinché vi sia un clima organizzativo migliore.

    Possiamo evidenziare la grande efficacia di promuovere relazioni cooperative e simmetriche, contraddistinte da reciprocità e motivazioni positive.

    ALLENARE L’ASCOLTO: LA NOSTRA “CALL TO ACTION”

    È evidente che le persone sono più motivate. Successivamente ottengono risultati migliori se i manager e i capi supportano i loro punti di forza, accolgono i loro contributi e dispongono le loro orecchie all’ascolto.

    Quindi è cruciale allenare questa competenza.

    Goleman diceva “quando ci concentriamo su noi stessi il nostro mondo si contrae mentre i nostri problemi e le nostre preoccupazioni incombono. Ma quando ci concentriamo sugli altri il nostro mondo si espande”

    Predisporre un ambiente più aperto e orizzontale di ascolto e di confronto può permetterci di allargare il nostro sapere, di scoprire nuovi modi di agire.

    Eppure non sempre è facile ascoltare. A tutti capita talvolta di interrompere l’interlocutore, di prestargli poca attenzione, di avere pregiudizi o dare per scontato, magari di concentrarsi di più sulla propria voce che su quella dell’altro. È ancora più difficile quando il proprio ruolo professionale fa sì che ci si scontri continuamente con una grande e crescente complessità, di informazioni, di situazioni, di scenari.

    Tuttavia il confronto è ciò che ci permette meglio di coglierla questa complessità, con uno sguardo ampio.

    Per questo può essere prezioso adottare piccoli “trucchi” di ascolto.

    Può essere utile ad esempio fare una parafrasi per restituire all’altro quanto si è compreso, esercitando la propria consapevolezza; chiedere esempi e fare domande aperte, esprimendo curiosità; e infine, allenarsi a vedere il punto di vista dell’altro come fonte sempre nuova di apprendimento continuo.

    FONTE DELLA RICERCA:

    Balconi, M., Venturella, I., Fronda, G., & Vanutelli, M. E. (2019). Who’s boss? Physiological measures during performance assessment. Managerial and Decision Economics, 40(2), 213–219. https://doi.org/10.1002/mde.2997

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  • non solo il primo architetto, ma un grande leader della trasformazione

    Filippo di Ser Brunellesco Lapi: non solo il primo architetto, ma un grande leader della trasformazione

    Sicuramente conosci la bellissima chiesa di Santa Maria del Fiore a Firenze e ti sei già lasciato affascinare dalla maestosità dell’imponente Cupola del Brunelleschi.

    Ma eri al corrente di tutte le opere e le azioni virtuose che questo grande uomo imbastì per arrivare al magnifico risultato che tutti possiamo ammirare?

    Sapevi che Filippo di Ser Brunellesco Lapi, meglio noto come il Brunelleschi, fu il primo a costruire una mensa per le maestranze? Lo fece proprio all’interno del Duomo di Firenze.

    Certamente è l’unico che nel 1400 poteva mettere in cantiere un ristorante più alto di 114 metri, collegando una cucina, appositamente predisposta, a ponteggi e strumenti di carico che potessero trasportare direttamente il cibo nel luogo in cui lavoravano gli operai, per permettere loro di non scendere a terra.

    Costruì persino dei bagni in muratura, in un ambiente in cui le fognature erano un’eccezione e non una regola.

    Da dove nascevano queste idee?

    Brunelleschi era guidato da valori forti, in base ai quali valutava le scelte da intraprendere con coerenza e responsabilità. Ma aveva anche aderito a una grande visione e successivamente era riuscito ad esprimerla nel modo migliore, partendo dal macro e arrivando a definire dettagliatamente il micro.

    La visione di Brunelleschi era la centralità dell’uomo, letteralmente: l’uomo come misura di tutto.

    Ha vissuto in un periodo in cui le scienze matematiche non erano slegate dalle scienze umanistiche, e ha fatto propria l’armonia geometrica delle forme per risaltare, con l’arte, l’umanità.

    Facciamo però un passo indietro per ripercorrere insieme la sua storia.

    Brunelleschi, storia di un genio

    Sapevi che era, prima di tutto, un orafo e uno scultore? Per la precisione fu un orafo passato alla storia come il primo vero architetto.

    Fu in grado di mettere l’attenzione di un orafo nelle piccole e piccolissime cose, per costruire grandi e maestose architetture, che tutt’ora rimangono ineguagliate.

    Egli aveva la straordinaria capacità di rappresentare la realtà in modo scientifico e rigoroso, ma aveva anche il grande desiderio di generare armonia, sia visibile che percepibile. La sua architettura è equiparabile ad una melodia che diventa solida, le cui note hanno come base le misure dell’uomo.

    Filippo fu il primo a condividere con i propri collaboratori le informazioni necessarie per costruire un edificio ma, ancora prima, trasmise loro una visione affinché fossero autonomi nel risolvere i problemi che inevitabilmente potevano emergere tra la fase di progetto a quella del cantiere.

    Inoltre fu il fautore della prospettiva lineare, che sarà alla base delle rappresentazioni dell’arte del Rinascimento fiorentino. Un’invenzione prodigiosa per riprodurre la realtà in tutte le sue forme.

    Cosa rende importante Brunelleschi

    Si racconta come l’artista sia stato in grado di costruire la cupola del Duomo di Firenze partendo da una visione fortemente condivisa ma non propria. La cupola infatti era già dal 1294 protagonista degli affreschi del Bonaiuti situati nel Cappellone degli Spagnoli nel Convento di Santa Maria Novella. Eppure, 200 anni dopo, il progetto era ancora sogno e fantasia. Filippo Brunelleschi ebbe il coraggio di seguire il sogno e di tramutarlo in realtà, esplorando tutti i campi del sapere conosciuto e ricercando strumenti concreti ed efficaci per compiere l’impresa.

    Le sue capacità non furono solamente ingegneristiche e tecniche, anzi, si potrebbe dire che la relazione fu lo strumento principale per la realizzazione dell’opera.

    Il potere della relazione

    1. Dovette intrattenere una relazione efficacie con la committenza, per capire le sue vere richieste, per comprendere i dubbi dei suoi interlocutori e la loro paura del nuovo; per trovare il miglior modo di esprimere la sua visione, o meglio il progetto che immaginava di realizzare. Si narra che prese un uovo per spiegarsi, lo ruppe a metà per presentare con chiarezza la forma e la struttura della cupola, mostrando efficacemente come fosse possibile mantenere l’edificio in piedi. Utilizzò miniature, oggetti di ogni genere, metafore illuminanti, per dare alle persone la possibilità di vedere.
    2. Anche la relazione con i suoi collaboratori fu però curata nel dettaglio: riuscì a spiegare loro come costruire e utilizzare gli strumenti lavorando lui per primo con essi, così come gli altri operai, per dare l’esempio. Costruì prototipi esplicativi utilizzando l’intaglio nella frutta o nella verdura. Rese i lavoratori autonomi e liberi nel proporre soluzioni ancora più funzionali di quelle che lui aveva pensato.

    Infine riuscì a sfruttare al meglio i materiali a disposizione. Evitò perdite o sprechi, per collocare ogni “tassello” nella posizione più corretta e funzionale a sostenere, non solo la cupola ma anche la visione, e quindi l’obiettivo, condiviso.

    Filippo Brunelleschi portò le persone centoquattordici metri sopra il cielo, per permettere loro di osservare il mondo, così che potessero agire nuovi comportamenti una volta scese, con una nuova consapevolezza. Costruì un’opera non solo artistica e architettonica, ma anche urbanistica, perché visibile da molteplici punti della città di Firenze, così che l’uomo, guardandola, non potesse che elevarsi.

    La leadership del cambiamento e la metafora artistica: cosa ci insegna il Brunelleschi?

    • LA VISIONE E IL PURPOSE CONDIVISI SONO ALLA BASE DELL’IMPRESA

    Mentre il Bonaiuti, primo a rappresentare graficamente la cupola, può essere considerato l’esempio metaforico della capacità di Visione, Filippo Brunelleschi ci dimostra che La Visione e il Purpose diventano realtà solo quando si attivano una serie di azioni finalizzate a concretizzare il proprio progetto. Inoltre, se non si analizza approfonditamente il contesto e non vengono ricercati in esso i mezzi per realizzare l’obiettivo, la Visione resta fine a sé stessa. Per prima cosa Brunelleschi ha condiviso profondamente questa Visione e poi è riuscito a trasmetterla agli altri, “negoziando” il suo progetto con le persone che potevano contribuire a realizzarlo.

    • LA CAPACITA’ DI VEDERE OLTRE

    Sicuramente aveva chiarezza rispetto agli obiettivi da raggiungere ma non solo: riusciva a vedere l’insieme, a scorgere il puzzle guardando i singoli pezzi. Conosceva approfonditamente il contesto di intervento e vedeva con gli occhi della mente prima ancora che le opere fossero realizzate. Per compiere un progetto così ambizioso Brunelleschi ha dovuto allargare le convinzioni in primis proprie e poi degli altri, attraverso il dialogo generativo.

    • LA COMUNICAZIONE EFFICACE

    Era abile nel comunicare, nel coinvolgere e nel trasferire agli altri quello che intendeva realizzare. Lo faceva dando lui l’esempio, utilizzando metafore ad hoc, mostrando oggetti che potessero dare forma alle proprie idee. Ma era anche disponibile al confronto ed alla negoziazione, perché coglieva nei contributi degli altri la possibilità di apprendimento.

    • LA LOGICA SISTEMICA E LA CENTRALITA’ DELL’UOMO

    L’architetto si è assunto in prima persona la responsabilità dell’esito del suo lavoro e grazie alla sua capacità di lavorare in una logica sistemica, guardava all’opera nella sua complessità ed interezza. Per questo ha creato la mensa, la cucina e i bagni nel cantiere. Perché per realizzare il Duomo ha avuto cura delle esigenze di ogni persona, in modo che tutti potessero contribuire al meglio. L’uomo è infatti sempre al centro, la principale unità di misura di ogni sua opera. Filippo Brunelleschi dimostra in ogni istante grande fiducia nelle persone e si impegna a creare un ambiente a cui le persone amino davvero appartenere.

    L’esempio di Brunelleschi per noi di Hermes Consulting

    Noi di Hermes guardiamo a Ser Filippo Brunelleschi come a una guida; un esempio virtuoso di leadership. Per questo raccontiamo la sua storia, portiamo i team di direzione davanti alle sue opere al fine di:

    • Riflettere sull’essere capo e sulle capacità necessarie alla gestione del proprio team
    • Favorire l’espressione di una leadership partecipativa orientata all’ascolto, al supporto, allo sviluppo e al confronto.
    • Capire come comunicare efficacemente e come coltivare le relazioni con i collaboratori in modo generativo.
    • Esplorare le capacità del leader efficace, sperimentandole concretamente così da presidiare al meglio il ciclo di gestione delle risorse.
    • Guidare lo sviluppo di consapevolezza, unita alle conoscenze e alle capacità per affrontare al meglio i momenti significativi di confronto con i collaboratori.
    • Ampliare lo sguardo verso la crescita e l’apprendimento continuo e lavorare sulla gestione degli obiettivi
    • Seguire le orme dell’artista per realizzare una visione insieme; perché è la relazione il vero spazio di azione del leader

    Filippo di Ser Brunellesco Lapi protagonista nell’outdoor culturale

    L’esempio di Filippo Brunelleschi ci porta a riflettere molto profondamente sulla complessità celata nel ruolo di capo e sull’importanza della relazione con il proprio team.

    Hermes racconta la sua storia in uno dei suoi Outdoor Culturali, utilizzando le vicende celate nell’opera d’arte della cupola come strumento di straordinaria efficacia, per muovere l’energia delle persone, le loro potenzialità e le loro risorse.

    Riesce, attraverso l’arte, ad accendere la sfera emotiva della mente risvegliando così la motivazione e la proattività delle persone, stimolandone anche il pensiero critico e razionale. Per questo ottiene come prodotto l’accelerazione di risultati concreti.

    Si tratta di un’esperienza di crescita e di apprendimento mediata dal linguaggio dell’arte, vissuta e percepita sulla pelle nella sede stessa in cui l’opera risiede.

    Questo tipo di Outdoor ci permette di riflettere su molte cose; sicuramente ci aiuta a rispondere a queste domande:

    • Come possiamo essere leader del cambiamento?
    • In che modo possiamo comunicare in modo efficace?
    • Come possiamo realizzare i nostri obiettivi curando nel modo migliore la relazione con tutti gli stakeholders?

    Inoltre il racconto della realizzazione di un’opera “impossibile” e del suo autore, ci permette di sviluppare nuove modalità di pensiero, orientate ad una cultura del Problem Solving, come strumento per contenere e gestire la complessità.

    Brunelleschi già seicento anni fa ci ha insegnato tanto. Prima di tutto ci ha mostrato che una grande opera, come quella di Santa Maria del Fiore, non può essere realizzata senza porre le persone al centro.

    Per conoscere meglio i nostri Outdoor culturali clicca qui.

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  • Serve volare in alto

    Serve volare in alto per avere i piedi per terra

    Come usare la metafora artistica per rendere concreto il cambiamento in azienda

    Ogni nostra grande scoperta è guidata da un’insaziabile curiosità. Questa stessa curiosità ha portato Hermes ad ascoltare molte storie in questi 25 anni di attività, con grande ammirazione e trasporto. Si tratta delle tante narrazioni che l’arte ci racconta, in silenzio, ma con grande potenza.

    Attraverso l’arte possiamo guardare al domani, possiamo osservare tutte le strutturazioni di futuro possibile, per ispirare gli altri, per andare verso il migliore percorso.

    La metafora artistica ci permette di vedere oltre la proiezione del presente, guardando piuttosto a nuovi modi di agire, che mai avevamo messo in pratica prima.

    Perché l’arte ha un codice aperto e ci arriva dritta al cuore prima ancora di essere “letta”.

    Ci permette di partire da quello che le persone sentono nel profondo e di progettare con le persone strategie di cambiamento che siano radicate in questo sentire.

    Potrebbe sembrare paradossale ma per noi “serve volare in alto per avere i piedi per terra”; poiché fino a che non vengono riscoperti il sogno e il desiderio radicati nel nostro agire la scintilla del cambiamento non scatta.

    Abbiamo imparato che i progetti migliori e più riusciti non hanno solo un’accurata pianificazione e una struttura ben studiata; nascono dal sogno e hanno un’anima palpabile.

    La metafora artistica è il nostro modo per far leggere il futuro alle aziende, per ispirare con grandi storie, che ci raccontano il valore dell’unione e della condivisione, dell’integrità e dell’inclusione, della giustizia e della saggezza.

    Perchè l’arte ha questo potere?

    Ognuno ha in sé delle risorse da scoprire e un potenziale autorigenerativo in attesa di essere stimolato. L’arte svolge questa funzione e ci consente di credere nelle capacità nascoste in ognuno di noi.

    Può essere origine di grandi cambiamenti e può favorire la conoscenza di sé stessi e delle proprie potenzialità in ottica evolutiva. Questo potere si esplicita in particolar modo quando non si è in solitudine ma l’arte viene mediata dalla presenza dell’altro; dal dialogo e dalla relazione.

    Permette di dare un’identità precisa ai problemi che ci affliggono e di esprimersi grazie a uno strumento di confronto.

    Spesso ci consente di vedere in modo diverso le nostre difficoltà, di arrivare a un’intuizione, un insight, che ci rende prossimi al superamento degli ostacoli.

    Edith Kramer, pittrice e terapeuta, diceva che “l’opera d’arte è un contenitore di emozioni” e Vygotskij, uno dei padri della psicologia, parlava della creatività e dell’immaginazione come elementi necessari per una migliore conoscenza della realtà, poiché stimolano la ricerca di nuove soluzioni e aprono le porte al cambiamento.

    Per noi l’arte non è una fuga dalla realtà, anzi ci permette di incorniciarla, di conoscerla meglio, guardandola con nuovi occhi. Ci consente inoltre di esprimere concetti che rimarrebbero altrimenti celati e magari censurati, se utilizzassimo unicamente il canale verbale.

    L’arte ha anche un linguaggio a sé stante, polisegnico, che muove processi profondi e permette di lavorare sul proprio presente.

    La dimensione creativa dell’opera d’arte porta a superare i nostri blocchi e a porre sul tavolo i nostri vissuti insieme ai contenuti emotivi e cognitivi che ne fanno parte.

    L’arte per il management

    Noi portiamo chi guida le aziende a vivere esperienze a stretto contatto con la storia dell’arte. Chiamiamo questi momenti Outdoor Culturali.

    Qui le direzioni aziendali hanno uno spazio per guardare sé stesse nel profondo, riflettere sul loro scopo, sul vero purpose dell’organizzazione. Scoprono o riscoprono i valori autentici che fanno loro da stella polare e si lasciano ispirare, per poi convergere in un’unica-MENTE INSIEME, coesa, allineata e consapevole.

    Grazie agli stimoli che le metafore artistiche operano, i team di direzione:

    • ragionano sulle proprie dinamiche
    • arrivano a trovare un punto di convergenza e a superare il conflitto
    • reagiscono facendo un passo indietro rispetto a tanti comportamenti disfunzionali alla trasformazione e al cambiamento davvero sostenibile.

    Attraverso questo approccio si utilizza l’isomorfismo tra l’esperienza dell’azienda e la rappresentazione artistica, per aprire finestre e per produrre salti di pensiero più veloci. Le persone acquisiscono maggiore consapevolezza del proprio essere, del proprio agire e di dove vogliono giungere.

    Ecco perché negli anni abbiamo continuato a progettare nei luoghi d’arte, portando alle aziende esperienze artistiche che fossero isomorfe e rigenerative

    • Isomorfe, perché, come postula una teoria psicologica della Gestalt, “può esserci identità di forma fra esperienze e processi fisiologici sottostanti”. Quindi, guardando l’opera d’arte le persone possono effettivamente vedersi nella storia e sentirsi parte di essa.
    • Rigenerative, perché sono in grado di aprire porte e finestre in cui ognuno può allocarsi; permettono di generare “salti di intuizione” miracolosi.

    L’arte in Hermes è un punto di partenza per iniziare un lavoro che permetta il confronto e lo scambio di pensieri, al fine di sviluppare una visione comune del tema trattato.

    Dove i partecipanti che già da tempo lavorano insieme possono affrontare un’attività di profondo impatto emotivo, durante la quale è il gruppo stesso che si mette in gioco ed esplora le dinamiche al suo interno.

    Perché è importante “vedere e sentire” il risultato da raggiungere, e l’arte, le immagini, le emozioni, ci aiutano a rendere il sogno una splendida realtà.

    Se vuoi conoscere in modo più approfondito i nostri Outdoor Culturali e capire come utilizziamo la metafora artistica clicca qui.

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  • ConVision

    Contribuire alla creazione di una strategia sostenibile con la ConVision

    Molte ricerche internazionali ci mostrano che solo il 50% delle strategie disegnate dai Manager di grandi aziende europee arriva a realizzarsi e a perdurare poi nel tempo.

    Sembra che la vera ragione risieda nel fatto che non è davvero chiaro come concretizzarla, calandola nel contesto di applicazione.

    IRiS è un sistema formativo/metodologico ideato da Hermes Consulting, che vede l’azienda come un organismo vivente e utilizza questa visione per facilitare il raggiungimento del risultato che l’azienda si prefigge.

    Un risultato sostenibile che duri nel tempo avendo un impatto positivo sul futuro.

    La nostra strategia parte dal presupposto che sia impossibile arrivare al risultato desiderato se l’obiettivo non è stato colto da tutta la mente dell’organismo- azienda. Ecco perché per noi è fondamentale che ci sia un allineamento e un’adesione mentale profonda alla visione, da parte di tutto il cervello. Lo chiamiamo UNICA-MENTE INSIEME.

    L’Unica-Mente Insieme

    In azienda la mente è costituita dal “capo”, dall’amministratore delegato, e da tutte le persone che, di fatto, hanno il ruolo di guida nell’ azienda.
    Se questo gruppo non ha capito la direzione, non ha chiaro risultato o non è d’accordo con il suo raggiungimento, il cervello darà informazioni diverse alle mani e ai piedi, quindi l’organismo perderà coordinazione ed equilibrio solo dopo pochi passi.

    Però anche quando il risultato è stato immaginato e tutto il cervello concorda è necessario che le mani sappiano afferrare e che i piedi possano camminare per raggiungere la meta. Questo come è possibile?

    Gli arti devono necessariamente avere delle informazioni dal sistema neurologico e stabilire delle sinapsi, ovvero delle connessioni, in modo da informare ogni estremità del corpo sulla direzione da perseguire.

    Solo dopo aver riconnesso le parti, è possibile far calare le informazioni. Tutti gli snodi devono essere allineati e rispondere agli input della mente, altrimenti il messaggio non passerà.

    Noi chiamiamo ConVision lo spazio in cui questo avviene.

    Che cos’è la ConVision?

    Si tratta di creare uno spazio di condivisione in cui riunire l’intero Management dell’azienda, per generare un allineamento verso la direzione da perseguire, che possa portare ad una concretizzazione della Strategia Aziendale delineata. Vision e linee guida strategiche devono essere chiare, comunicate e integrate nelle azioni quotidiane, ricercando coerenza a tutti i livelli dell’Organizzazione.

    Nella ConVision ognuno è protagonista e può raccontarsi in un dialogo costruttivo con l’altro. Grazie a questo momento di confronto si rafforza ancora la coerenza di visione, di valori e di purpose. Vengono tracciati tutti i punti di intersezione dell’interno sistema.

    Si tratta di uno spazio generativo che permette la condivisione di esperienze comuni, emotive, relazionali, cognitive ed informative. Un momento per riconoscere che l’agire collettivo quotidiano è guidato da uno scopo condiviso, che rende l’azienda un luogo di appartenenza comune.

    Consiste nel garantire il collegamento efficacie tra persone e gruppi reali; far fluire l’informazione al sistema attraverso le connessioni, perché finché non si stabiliscono sinapsi e non si crea un dialogo generativo, le persone non comunicano davvero, non ricevono le informazioni dove e quando serve, e il cammino si arresta bruscamente.

    La ConVision come strumento

    La ConVision è uno strumento per avere un riscontro, per raccogliere spunti preziosi al fine di implementare la strategia; ma è anche un mezzo attraverso il quale le persone possono avere feedback concreti, per sapere come migliorarsi, come migliorare il gruppo e affinare i movimenti dell’organismo-azienda. Rappresenta, infatti, una Call to Action, perché ognuno è chiamato a contribuire attivamente e responsabilmente.

    La ConVision nasce dalla profonda convinzione che per raggiungere la meta è importante condividere a tutti i livelli dell‘Organizzazione il senso del viaggio, in modo che ognuno possa aggiungere un pezzo al puzzle che compone il risultato.

    Nelle ConVision si attiva la co-creazione, per specificare meglio la strategia, risolvere i problemi che la possono sabotare e realizzare obiettivi trasversali.

    Il grande scopo di questo momento è attivare il coinvolgimento di tutti attraverso alcuni passi che ci avvicinano ad un risultato.

    Perché la stessa ConVision ha un DNA sostenibile?
    • Perché raccoglie insieme tanti lavoratori dell’organizzazione e li chiama “partecipanti”, che a vario titolo contribuiscono all’ ideazione, alla progettazione e alla realizzazione del futuro.
    • È un contenitore di esperienze. Ogni lavoratore può trovare uno spazio per creare, per esprimere le proprie potenzialità e avere uno spazio di espressione.
    • È sostenibile perché vede l’azienda come un ecosistema interconnesso. l’azienda deve unire tutte le sue cellule per agire, e perché nasce sulla base di un purpose, uno scopo che trascende il risultato economico e che guarda il mondo in senso allargato, cercando di capire come rispondere a bisogni profondi.
    • Perché nasce con l’idea di costruire la strategia co-costruendo senso.
    • Progetta con le persone al centro e agisce in modo da trattare l’umanità delle persone sempre come fine e mai come mezzo.
    • Adotta un approccio improntato sul co-design e delinea l’organizzazione del futuro coinvolgendo l’intero organismo- azienda nel percorso.
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  • L'azienda del domani pratica l'ascolto interno

    L’azienda del domani pratica l’ascolto interno

    Capita spesso che molte strategie aziendali ben costruite e finemente progettate non arrivino a compimento, anche se frutto di un piano accurato e di solide ragioni d’essere.

    La verità è che avere il migliore progetto non sempre basta, è anche fondamentale creare le condizioni adatte all’implementazione reale di un cambiamento, è necessario praticare quello che noi chiamiamo “ascolto interno”.

    Dunque possiamo guardarci dentro, ascoltarci e capire come può attecchire il cambiamento nella nostra realtà lavorativa.

    Ma da dove iniziare per praticare l’ascolto interno?

    Per praticare l’ascolto interno possiamo cominciare immaginando di indossare la tuta del giardiniere.

    Guardiamo con i suoi occhi la terra in cui seminare e prendiamo decisioni su come disporre i semi e i piccoli germogli nello spazio. Non possiamo coltivare le piante disponendole a caso sul suolo, perché ogni organismo vegetale ha bisogno di luce in quantità diversa e di terreni specifici, acidi o basici.

    Affinché il tuo giardino fiorisca, devi prestare attenzione all’esatto punto in cui innestare le piante, in modo da creare le condizioni per farle crescere alte, sane e rigogliose.

    Per farlo l’organismo-azienda si pone molte domande.

    Parte chiedendosi, per esempio:

    1. Il cambiamento è in linea con i valori, con il purpose e con la visione collettiva?
    2. Tutto il management team è a conoscenza del cambiamento?
    3. Lo supporta e lo sa spiegare alle persone?
    4. Sa indirizzare la gente lungo la strada del change?
    5. Può dare i giusti feedback a chi il cambiamento lo implementa?
    6. Le persone si riconoscono davvero nell’idea che sottende la trasformazione?
    7. Hanno le competenze e la motivazione per attuarla?

    Qualsiasi progetto per andare a buon fine e protrarsi nel tempo deve essere in linea con l’identità dell’azienda, con ciò che è e ciò che fa. Per questo l’avvio di una strategia non può che sottendere un tempo di confronto e di condivisione, dove i valori, lo scopo profondo e la visione dell’organizzazione trovino uno spazio per emergere.

    Se è chiaro il punto di partenza e quello di arrivo, c’è poi da chiedersi se tutti hanno davvero compreso il senso del viaggio, se vogliono implementarlo, se possono implementarlo.

    Quanto è faticoso e dispendioso il percorso?

    Non è mai funzionale spingere qualcuno a fare qualcosa che non è in grado di fare. La diretta conseguenza è il blocco, il senso di impotenza e la delusione per il fallimento.

    Partiamo da qui per capire come mettere in pratica l’ascolto interno.

    Prima di intraprendere un cambiamento chiediamoci questo:

    • Il cambiamento è chiaro alla direzione generale? Lo vuole davvero? Lo sponsorizzerà?
    • I Manager dell’azienda sono a conoscenza del processo di cambiamento e ne fanno davvero parte? Hanno contribuito anche loro a costruirlo?
    • Lo sanno spiegare? Hanno capacità di comunicazione e di ingaggio? Sanno dare feedback? Mantengono un dialogo aperto con chi deve compiere i primi passi?
    • Le persone hanno avuto modo di informarsi e di comprendere il cambiamento e gli effetti che avrà su di loro?
    • Le singole funzioni hanno adottato o possono adottare questi cambiamenti per fare una trasformazione strutturale?
    • Le persone hanno contribuito con il loro ingegno a finire la strada e definire la direzione da prendere?
    • Tutto questo è stato comunicato in modo chiaro e coerente anche all’esterno dell’azienda?

    Occorre porre lo sguardo su tutte le strutture organizzative e sulle singole funzioni che costituiscono l’azienda, perché quando viene implementata una strategia nuova e diversa dall’ordinario questa va ad impattare in modo profondo tutto il sistema: apparati, organi, tessuti e cellule.

    Il giardino di Hermes

    Noi di Hermes siamo da sempre giardinieri e architetti del terreno, perché creiamo le condizioni affinché quello che viene seminato possa crescere rigoglioso nel tempo ma lo facciamo disponendo spazi di ascolto e di dialogo profondo; di confronto, di collaborazione e di co-creazione, dove tutti possono contribuire alla realizzazione del proprio futuro.

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  • leader della trasformazione

    Come si può essere leader della trasformazione sostenibile?

    Il metodo IRiS di Hermes Consulting guarda all’azienda come ad un sistema vivente, che cammina verso la visione, guidato dalla luce del purpose e dei propri valori.

    Quando pensiamo all’azione di camminare non siamo portati a soffermarci su tutti i movimenti fini che compiamo e che si susseguono fluentemente, in modo coordinato.

    Per compierli il nostro organismo deve connettere tutte le sue parti ed è il sistema nervoso a concretizzare questa magia.

    In azienda il Sistema Nervoso è rappresentato dalla direzione generale e dai Manager, poiché sono loro gli snodi di connessione capaci di inviare messaggi al corpo ma anche di riceverli, in modo da mantenersi orientati sulla strada da seguire.

    Per questo si chiamano “leader della trasformazione sostenibile”, perché è grazie a loro si riesce a mantenere vivo lo scopo condiviso.

    Il ruolo del Leadership Team per una trasformazione sostenibile

    La nostra metodologia IRiS sostiene che per realizzare “il viaggio del cambiamento” sia necessario innanzitutto un Team di Direzione coeso e allineato su uno scopo condiviso, che possa declinarsi in una strategia concreta e progettuale.

    Per agire possiamo supportare I leader nella riflessione:

    • Quali principi vogliamo perseguire?
    • Quali cose contano di più per la nostra azienda?

    I leader del futuro creano e condividono Visione e valori, li seguono con coerenza ed inviano input a tutto il sistema, comunicandoli e trasmettendoli in modo chiaro.

    Il leadership team rafforza la sua azione diventando una “Unica-Mente Insieme”.

    Dedica uno spazio di condivisione alla conoscenza e consapevolezza reciproca per definire la propria visione e trasformarla in una strategia concreta e progettuale.

    Come si può ingaggiare e orientare tutta l’azienda verso il viaggio di cambiamento?

    Con IRiS costruiamo delle Con-vision in cui si attiva la co-creazione fra i Manager, per specificare meglio la strategia futura, risolvere i problemi che la possono sabotare e realizzare obiettivi trasversali.

    Con IRiS i leadership Team sono portati a condividere a tutti i livelli dell‘Organizzazione il senso del viaggio, in modo che ciascuno possa contribuire al risultato.

    Infine, sanno cogliere l’energia e la passione delle persone, consentono loro di esprimere nuove abilità e nuovi modi di agire, diffondono una cultura della responsabilità; guidano verso l’auto-regolazione e l’autodeterminazione.

    Una ricerca di Accenture in collaborazione con il world Economic Forum ha evidenziato tra le principali priorità delle organizzazioni nei prossimi 3 anni quella di “diventare veramente aziende sostenibili ed eque”. Si tratta di una trasformazione virtuosa e strategica perché non solo tutela il nostro domani; è dimostrato che avere un DNA sostenibile genera profitti più alti e risultati di successo.

    Secondo la nostra esperienza per sostenere la trasformazione sostenibile ogni leader deve utilizzare alcuni ingredienti chiave, quali

    • Value & purpose

    il leader della trasformazione sostenibile guarda e cammina verso obiettivi comuni, guidato da una visione condivisa e da un purpose orientato allo sviluppo sostenibile.

    • Inclusion

    Nel prendere decisioni il leader deve sapersi calare nei panni di tutti gli stakeholders coinvolti, in modo da tutelarne la fiducia imboccando la strada del bene comune, con azioni dall’impatto positivo per tutta la comunità. Deve quindi promuovere un ambiente aperto ed a inclusivo dove tutte le persone possano mettersi in gioco e far sentire la propria voce.

    • Open mind

    Il leader della trasformazione sostenibile vede l’organizzazione come centro di espansione umana a servizio della migliore vita per tutti, per questo crea un ambiente dove possano essere sperimentate nuove abilità e nuove strategie, guidate da impegno e da creatività. Ha un Mindset orientato alla crescita ed è flessibile, con uno sguardo ampio, le orecchie aperte e il cuore orientato verso le persone.

    • Trasformative Learning

    Per trovare strade nuove e migliori il leader della trasformazione coltiva la comunicazione aperta e orizzontale, favorendo lo scambio di conoscenze o di esperienze e abbracciando l’apprendimento continuo.

    • Digital Transformation

    Infine sa innovare responsabilmente con la tecnologia emergente senza che nessuno rimanga indietro, creando così valore sociale e organizzativo.

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  • Gender Pay Gap

    Gender Pay Gap: la lunga strada verso la realizzazione dell’inclusione

    Mentre ci accingevamo a completare questo articolo, lo scorso 26 ottobre è arrivata la notizia felice: c’è stato un primo passo verso la realizzazione di vera inclusione all’interno del nostro sistema.

    È infatti diventata legge una proposta sulla parità salariale che mira al superamento delle discriminazioni e penalizzazioni che molte donne affrontano nel nostro paese.

    Rimane un primo passo che deve poi essere messo concretamente in pratica per diventare realtà.

    Noi speriamo che venga fatto il prima possibile.

    Lo scopo di questo articolo rimane il medesimo.

    Vogliamo condividere alcune informazioni di scenario relativamente al Gender Pay che è parte del più ampio tema del divario di inclusione in ambito lavorativo.

    La partecipazione nel mercato del lavoro

    Dal secondo dopoguerra ad oggi, si è assistito ad un costante aumento della partecipazione al Mercato del lavoro da parte delle donne, le quali nel tempo (tutte le ricerche lo riportano) sono protagoniste di performance formative ottimali (spesso migliori rispetto a quelle dei colleghi uomini sia in termini di tempi che di risultati ottenuti).

    Eppure più si sale nelle scale gerarchiche delle aziende private o nella pubblica amministrazione fino alla politica, più cala la presenza femminile nei ruoli apicali. 

     Al di là del gender pay gap, si investe per preparare al meglio una parte di intelligenza del Paese che poi non viene impiegata, a discapito di tutti.

    Nel 2018, quando la consigliera per il programma di sviluppo delle Nazioni Unite Anuradha Seth aveva definito la disuguaglianza retributiva tra uomini e donne «il più grande furto della storia», la sua espressione aveva suscitato scalpore. «Non esiste un solo Paese, né un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini a fronte di pari competenze e istruzione».

    La situazione in Italia

    Dal 28° Rapporto sulle Retribuzioni di ODM Consulting, società di consulenza HR di Gi Group, emerge che a parità di esperienza lavorativa, il pay gap legato al genere è del 5,5% tra laureati e dell’8% tra non laureati.

    A svantaggio, manco a dirlo, delle donne, sistematicamente meno retribuite rispetto ai colleghi di sesso maschile.

    Il rapporto di ODM Consulting sembra suggerire che nel nostro Paese la recessione innescata dal Covid abbia consolidato il gender pay gap.

    Inoltre la crisi dovuta agli effetti della pandemia si è abbattuta in modo asimmetrico sul mercato del lavoro, finendo con l’azzerare più posti di lavoro femminili che maschili 

    E così la somma di problemi di vecchia data con le nuove difficoltà si traduce in un peggioramento — l’ennesimo — della condizione femminile in Italia.

    Gender pay gap, le differenze di salario tra uomini e donne

    Dall’analisi dell’evoluzione delle retribuzioni in Italia nel 2019 e nel primo semestre 2020 emerge un dato chiaro: il genere gioca un ruolo decisivo nell’influenzare gli stipendi.

    In Italia, secondo il 28° Rapporto sulle Retribuzioni, gli stipendi degli uomini sono, in media, superiori a quelli delle donne.

    Questo vale sia per tutte le categorie professionali prese in considerazione dall’indagine (dirigenti, impiegati, quadri, operai) e a tutti i livelli. 

    Gli uomini sono meglio retribuiti già all’inizio della loro carriera. 

    Le stime di ODM Consulting suggeriscono che un under 30 entrato da uno o due anni nel mondo del lavoro ogni anno guadagna in media 25.216 euro se non laureato e 29.780 euro se laureato.

    Una coetanea, a parità di titolo di studio ed esperienza, in media trova in busta paga rispettivamente 23.210 euro o 28.051 euro.

    La differenza di salario — sempre calcolata su base annuale — varia a seconda della professione e dell’inquadramento.

    Oltre i numeri

    Questi studi sono importanti per testimoniare concretamente questa disparità del gender pay gap. Tuttavia non bastano però ad inquadrare in maniera completa il fenomeno.

    La disuguaglianza è legata anche ad un tema di opportunità:

    • la prevalenza delle donne nei posti di lavoro a part time (il 73,4% dei lavoratori a tempo parziale, secondo i dati Istat del 2019, sono donne)
    • il cosiddetto “soffitto di cristallo”, che frena l’ascesa professionale delle donne, escludendole dalle posizioni meglio retribuite. È stato rilevato che solo il 32% dei dirigenti in Italia sia donna. Se guardiamo ai ruoli di vertice delle organizzazioni vediamo che le amministratrici delegate sono solo il 6,3% del totale (Fonte: Rapporto Cerved-Fondazione Marisa Bellisario 2020)

    La legge di stato sulla parità di salario è un primo passo importante. Ne restano molti altri da fare per rendere sempre più inclusiva la nostra società:

    • dobbiamo impegnarci anche per sciogliere il nodo del tema tra bilanciamento e vita privata. Ancora oggi lo sappiamo che questo aspetto va a svantaggio delle donne che optano più degli uomini per questa soluzione.
    • Bisogna continuare a fare pressione e agire per abbattere il soffitto di cristallo. Bisogna rendere le quote rosa un significativo atto a sostegno di una cultura aziendale aperta e capace di generare sempre maggiore beneficio proprio attraverso l’integrazione e valorizzazione delle diversità.
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  • Leadership inclusiva

    Leadership inclusiva: ne abbiamo veramente bisogno?

    Vuoi la globalizzazione con cui facciamo i conti tutti i giorni, vuoi gli effetti dei social, negli ultimi anni nelle aziende italiane sta prendendo sempre più campo la tematica Diversity e Inclusion.

    Nella nostra esperienza professionale avevamo già incontrato questo tema in ambiti più strutturati.

    Si trattava di realtà multinazionali che lo vivevano come aspetto di gestione importante dal punto di vista manageriale. Questo aspetto era sottolineato proprio per la loro condizione di “diversità” data dall’essere oltre realtà di territorio nazionale.

    Negli ultimi 5 anni questo tema è cresciuto in maniera esponenziale.

    Se ne parla anche nell’ambito delle realtà aziendali nazionali, ed oggi è elemento di forte focalizzazione da parte anche dei vertici aziendali.

    Cosa è Diversity e Inclusion?

    Nel glossario di Diversity Lab è molto ben sintetizzato il concetto di diversity&inclusion: “Si riferisce all’impegno a riconoscere e apprezzare la varietà di caratteristiche che rendono gli individui unici in un’atmosfera che abbraccia e celebra la realizzazione individuale e collettiva. In ambito lavorativo, con diversity&inclusion si definisce una strategia di management finalizzata a una cultura aziendale inclusiva, basata sulla valorizzazione delle differenze individuali quali fattori di innovazione e di miglioramento delle performance personali e organizzative.”

    L’ultimo passaggio chiarisce bene quale è lo scopo principale per le aziende. Essere, cioè, in grado di valorizzare le differenze al fine di migliorare significativamente le performance dei singoli individui, e di conseguenza quelle di tutta l’organizzazione.

    Per dirlo a modo nostro, è la capacità principale oggi richiesta ai manager:  riconoscere ed esaltare le differenze che fanno la differenza per la persona e per tutta l’azienda.

    Ne abbiamo veramente bisogno?

    Si senza se e senza ma è la nostra risposta. Ne abbiamo bisogno se:

    • vogliamo veramente contribuire a creare un mondo migliore
    • vogliamo veramente riconoscere una volta per tutte che è il talento umano il vero elemento che può, con l’aiuto dell’innovazione, portare o meno al successo un’azienda anche economicamente
    • l’approccio a taglia unica fino ad oggi adottato non genera più quella differenza necessaria a garantire nel tempo la sostenibilità di un’azienda, intesa come la sua durabilità nel futuro

    Agire concretamente una leadership inclusiva significa accogliere, coinvolgere e attivare persone diverse.

    Soprattutto significa metterle in condizione di dare il loro miglior contributo.

    Come gestire al meglio la Diversity e Inclusion

    Per questo la leadership inclusiva richiede molta energia, spirito di iniziativa e capacità di mettere costantemente in discussione i propri pregiudizi.

    E’ fondamentale imparare a riconoscere che ci sono delle distorsioni cognitive, o per meglio dire dei bias che in tutti noi tendono ad ostacolare l’inclusività.

    Farlo come leader è importante perché incoraggia gli altri a fare lo stesso e confrontarsi permette di lavorare assieme per superarli.

    Il leader inclusivo mette insieme abilità da alchimista e preparazione, per poter dare valore alle diversità e micro diversità.

    Messe insieme permettono ad ognuno di poter contribuire veramente a generare più valore per sè e per l’azienda.

    Questo significa elaborare una strategia di Diversity e Inclusion virtuosa, per dare spazio a tutte le anime dell’azienda.

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  • motori e promotori di sostenibilità

    Diversità e inclusione: motori e promotori di sostenibilità

    Il contesto in cui diversità e inclusione sono fondamentali

    Viviamo e facciamo business in una contemporaneità che presenta caratteristiche inedite e propone sfide mai affrontate prima.

    Siamo in quella che viene definita l’era della conoscenza: è la prima volta che l’accesso alle informazioni è simultaneo, pervasivo, democratico; è la prima volta che “il cliente” è diventato globale e i confini che disegnavano mercati e competizione sono diventati fluidi, non definibili; è la prima volta che ci troviamo ad avere fino a 5 generazioni diverse all’interno delle nostre aziende.

    Siamo passati da meccanismi unidirezionali a relazioni circolari: la comunicazione non è più trasmissione asincrona (broadcasting), ma interazione dinamica (socialmedia), l’uso esclusivo si è trasformato in sharing, il prodotto è sempre più servizio.

    Il mondo vive di feedback e di interazioni.

    Come in passato abbiamo bisogno di innovare costantemente per competere e agendo in scarsità di risorse; ma oggi siamo chiamati a farlo ad una velocità sempre maggiore, su scala globale, massimizzando l’uso di una risorsa immateriale (la conoscenza) distribuita su una moltitudine di knowledge workers.

    Il paradigma

    In questo contesto i modelli organizzativi del passato mostrano i loro limiti.

    Anche il più recente modello organico che vede l’azienda paragonata a un organismo vivente garantisce adattabilità, ma non sostenibilità nel tempo.

    Oggi si parla sempre meno di sviluppo lineare e sempre più di crescita circolare dove sostenibile è quel business in grado di generare valore per l’organizzazione, i suoi stakeholders e il sistema in cui è inserita.

    In una logica di sostenibilità abbiamo bisogno di far evolvere i nostri modelli organizzativi perché abbiano resilienza, ricchezza, flessibile stabilità: le doti di un ecosistema naturale.

    I driver evolutivi

    Diversità e inclusione sono due elementi fondanti delle strategie di sopravvivenza degli ecosistemi in natura.

    Sono caratteristiche che permettono agli elementi organici di vivere e svilupparsi nel tempo e in qualunque contesto.

    La diversità di saperi, di pensiero, di attitudini – e l’etichetta “diversità di genere è solo una prima sintesi – permette di definire soluzioni non solo adattive, ma anticipatorie e di fronteggiare in modo efficace la complessità.

    L’inclusione è il processo con cui armonizziamo queste diversità e le trasformiamo in catalizzatori della crescita sostenibile.

    Per stimolare l’innesto di questi driver nelle nostre culture organizzative abbiamo da compiere 4 passaggi fondamentali, mutuati dalle regole degli ecosistemi naturali.

    1. Uscire dal normotipo per entrare nell’universalità (cosa che ci permette di arricchirci attraverso la differenza ed essere contributori verso un risultato comune)
    2. Valorizzare la complementarietà (dove i punti di forza degli uni compensano le debolezze degli altri vicendevolmente)
    3. Attivare ogni cellula del sistema (per sviluppare leadership diffusa e decisione specializzata)
    4. Interconnettersi e cooperare (per generare e implementare soluzioni, sia adattive che anticipatorie, capaci di garantire longevità)

    Le nuove normative e le iniziative che ci stimolano a costruire politiche del personale orientate alla valorizzazione della differenza in una logica inclusiva sono quindi un’importante opportunità per stimolare l’evoluzione delle nostre organizzazioni verso forme ecosistemiche resilienti, produttive e sostenibili nel tempo.

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  • Esiste il giusto mindset?

    Tipi di consulenze: esiste il giusto mindset per affrontare un percorso?

    Rispondiamo subito alla classica domanda che ci si pone quando si parla di tipi di consulenze sia in ambito aziendale che personale.

    Effettivamente esiste un giusto mindset per fronteggiare bene questo percorso.

    Il modo in cui noi approcciamo la strada del cambiamento, che di fatto è quello a cui porta un percorso di consulenza, fa la differenza nel raggiungimento o meno del nostro risultato.

    Quando si avvia un percorso di consulenza, possiamo affidarci a quello che riteniamo il miglior professionista o realtà aziendale in quell’ambito, ma se non ci mettiamo noi del nostro è veramente difficile riuscire ad ottenere i risultati che si perseguono.

    Che cosa è il mindset e come impatta sulla consulenza

    A prescindere quindi dai vari tipi di consulenze, il mindset è la chiave per il successo.

    Rappresenta lo stato mentale in cui si trova un individuo e che è il frutto dell’insieme delle convinzioni e credenze che il soggetto ha sviluppato nel corso della propria esperienza di vita.

    Attraverso questa forma mentis ognuno legge il contesto in cui è inserito, gli eventi, prende decisioni, fa scelte in una direzione piuttosto che un’altra.

    Già nel nostro articolo sull’innovazione aziendale avevamo visto quelli che sono i due principali mindset che si osservano in generale nelle persone: il fixed o il growth.

    Chi ha uno stato mentale growth è più orientato ad affrontare efficacemente e a utilizzare al meglio tutte le potenzialità in un percorso di consulenza.

    Va detto che nel nostro approccio il mindset è l’elemento centrale su cui lavoriamo quando facciamo consulenza, sia che si tratti di un business coaching sia che si tratti di lavorare su aspetti strategici.

    Come sviluppare il mindset giusto per far fruttare la consulenza

    Lavoriamo prima di tutto sul creare un sistema di credenze e convinzioni che siano supportive e funzionali rispetto al cambiamento o al miglioramento che stiamo perseguendo.

    Possiamo proprio dire che lavoriamo con i nostri clienti affinché si crei il mindset adeguato ai risultati che si vogliono raggiungere.

    Oltre a operare su nuove convinzioni, portiamo l’attenzione anche su alcune caratteristiche che cerchiamo di rinforzare, al fine di alimentare il nuovo mindset con azioni funzionali allo stesso.

    Questo permette ai nostri clienti di raggiungere i risultati, ma anche e soprattutto mantenere un atteggiamento orientato al miglioramento e alla ricerca del modo in cui portare valore.

    In sintesi, le caratteristiche che sollecitiamo e che a nostro avviso sono le basi proprio di una ricerca di miglioramento continuo sono:

    • Senso di responsabilità, rispetto alle scelte, decisioni e azioni che realizzano

    • Ricerca del feedback costruttivo che può dargli indicazioni rispetto a come migliorare

    • Curiosità e attenzione verso ciò che è diverso

    • Focalizzazione rispetto agli obiettivi

    • Atteggiamento positivo verso l’errore, perché parte del processo di apprendimento e può rappresentare una opportunità

    • Resilienza, per non abbattersi di fronte a difficoltà o errori.

    Tra i tipi di consulenze che conosciamo c’è quello nostro, che è unico nel suo genere.

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  • le domande da farsi per renderle realtà

    STRATEGIE AZIENDALI VINCENTI: le domande da farsi per renderle realtà

    Scene di ordinaria vita aziendale

    Il copione è molto diffuso: si definiscono obiettivi, si progettano strategie aziendali vincenti che sulla carta sono veramente efficaci, si investono risorse e tempo, si pianificano riunioni…e poi? E poi ci si ritrova a fare un bilancio e ci si accorge di due scenari possibili:

    • che quanto definito in strategia spesso fatica ad essere implementato nella pratica e si mancano i risultati sperati,
    • oppure che la strategia viene implementata in parte e faticosamente, in modo sconnesso e non allineato.

    Questa dinamica ti sembra familiare vero?

    Effettivamente è costume diffuso e confermato anche da studi internazionali.

    Ben il 50% delle strategie aziendali non vengo implementate e rimangono solo efficaci sui documenti che la contengono.

    Ci sono molti articoli, ricerche e studi che forniscono utili elementi per definire con precisione criteri e linee guida per elaborare le migliori strategie aziendali vincenti per implementare un business, crescere in un determinato Mercato.

    Al tempo stesso ci sono alcune delle migliori società di consulenza internazionali che hanno come focus proprio la consulenza sulle strategie aziendali vincenti e non solo.

    Hanno aiutato e continuano a fornire input fondamentali alle aziende per trovare la strategia vincente nel loro business.

    Differenze tra business, cosa conta realmente in una strategia aziendale

    Ma allora quale è la differenza, che fa la differenza? Perché alcune riescono veramente a realizzare le strategie ed altre, più della metà, fanno fatica e sono in perenne rincorsa?

    Quello che abbiamo visto e sperimentato concretamente con i nostri clienti in questi 25 anni è un fenomeno molto diffuso.

    Spesso si sottovalutano degli aspetti fondamentali che non sono legati direttamente ad elementi specifici della strategia ma proprio a come tutta l’organizzazione a partire dalla sua “mente” si muove verso e per la sua realizzazione.

    Quando si lanciano nuove strategie si avviano processi di cambiamento che sono in continua evoluzione ed è importante che le persone sappiano riorientarsi costantemente per operare con agilità verso i nuovi risultati.

    Nella nostra esperienza di consulenza abbiamo messo a fuoco alcune domande importanti.

    Grazie a queste sviluppiamo una riflessione con le direzioni che permette di mettere a fuoco lo stato presente e individuare i gap da presidiare per portare veramente a terra una strategia aziendale vincente.

    Qui di seguito vi mettiamo alcune di queste domande perché potrebbero aiutarvi a mettere a fuoco quali sono le condizioni da cui parte la vostra realtà e quali potrebbero essere degli snodi critici da gestire con efficacia per far si che tutta la vostra azienda si muova in armonia:

    Le domande importanti e vincenti da farsi e fare:

    • Esiste una Visione aziendale che sia espressa chiaramente, nota e compresa?
    • La strategia è stata co-costruita e condivisa? I risultati da raggiungere sono chiari e ben comunicati? Le persone sono motivate nel raggiungerli e/o hanno chiaro quali saranno le conseguenze del non conseguimento?
    • I Manager sono capaci di spiegare il “perché” delle richieste che fanno alle persone?
    • Le persone si sentono responsabili di sostenere concretamente l’azienda attraverso il raggiungimento dei risultati?
    • Vi è una cultura del dialogo e del feedback continuo?

    Attraverso queste e altre domande, noi aiutiamo i nostri clienti a creare e mantenere le condizioni necessarie a portarli verso le mete che si sono prefissi.

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  • Innovazione aziendale

    INNOVAZIONE AZIENDALE – Il ruolo fondamentale del Growth Mindset Leader

    Nel corso della sua carriera ventennale, la docente di psicologia della Stanford University, Carol Dweck, ha scoperto che una delle nostre convinzioni più radicate riguarda il modo in cui vediamo le abilità.

    Nello specifico, durante i suoi studi, la Dweck ha individuato due tipologie di mentalità funzionali anche per l’innovazione aziendale:

    La mentalità statica (“fixed mindset”).

    La mentalità dinamica (“growth mindset”).

    Perché ve ne parliamo?

    Perché nella nostra esperienza abbiamo visto che le persone e le aziende che sollecitano e agiscono con una mentalità dinamica generano sempre maggiore innovazione aziendale, al loro interno come nel Mercato in cui operano.

    L’avere una mentalità dinamica significa sapere che non si nasce innovatori ma che è una abilità e che può essere allenata e rafforzata.

    Pertanto in questa logica il sistema crea le condizioni perché ciò avvenga.

    Ma vediamo un attimo meglio come si caratterizza il Growth Mindset per l’innovazione aziendale:

    • Chi ha una mentalità dinamica è convinto che non esistano abilità innate e che una pratica costante sia l’unica strada per far fiorire il nostro reale potenziale.
    • Una persona/sistema con “growth mindset” accetta gli inevitabili fallimenti e li utilizza come alleati, come sprone per raddoppiare gli sforzi e come guida per correggere il tiro e provare nuove strategie e nuove strade.
    • Chi ha una mentalità dinamica crede nella “filosofia del duro lavoro” e considera il successo come la naturale conseguenza del proprio impegno.
    • L’obiettivo è stimolo e il successo non è la meta ma altro trampolino per il prossimo passo

    Questi punti creano le condizioni primarie per alimentare e sostenere processi di innovazione aziendale.

    E’ quindi importante che i ruoli di guida e manageriali di un’azienda che vuole fare innovazione aziendale o continuare a fare innovazione, abbiano loro stessi questo mindset e creino le condizioni per incentivarlo.

    Innovazione aziendale, il bisogno di un Growth Mindset Leader che:

    1. Abiliti la possibilità di sperimentare e la libertà di sbagliare:l’errore è parte integrante del processo di apprendimento”
    2. Condivida gli obiettivi con il proprio team: la nuova leadership non si basa più sull’autorità e sulla capacità di rispondere a obiettivi predefiniti. Gli obiettivi stessi si raggiungono con dinamiche di gruppo, tarandoli di volta in volta, in modo agile, a seconda delle situazioni che emergono durante il percorso
    3. Incoraggi i collaboratori a:
    • fare un’analisi accurata quando gli obiettivi non sono stati raggiunti
    • capire come agire in modo migliore e diverso in futuro
    • comprendere come hanno superato i dubbi e le sfide passate
    • interpretare come le esperienze passate possono essere applicate alle sfide attuali
    1. Faccia emergere le idee: crea spazi di ascolto per individuare le potenzialità dei collaboratori, valorizza e mantiene elevate le aspettative di ognuno di loro, aiutandoli a crescere professionalmente e favorendo la nascita di idee innovative
    2. Promuova una cultura del Discomfort: sviluppa piani di azione e di crescita per sè e per il team (esperienze nuove – formazione – nuovi progetti). Chiarisce e condivide le sfide che il team dovrà affrontare
    3. Crei spazi di riflessione in cui i membri del team possono far emergere le loro preoccupazioni sulle sfide in cui sono coinvolti e condividere liberamente le loro esperienze
    4. Monitori le azioni per divulgare una cultura del feedback continuo: l’attuazione e il monitoraggio del piano d’azione, permette di progredire nei progetti attraverso lo scambio continuo di feedback
    5. Racconti storie di successo e insuccesso, per condividere strategie e alimentare il senso di responsabilità e crescita condivisa
    6. Celebri i successi per condividere i progressi del team
    7.  Comunichi con l’esempio – Dimostrare tutti i giorni che la determinazione, l’apertura al cambiamento, la volontà di collaborare e crescere sono requisiti chiave per la crescita.
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  • perché è importante svelare il lato umano

    Business coaching: perché è importante svelare il lato umano delle aziende

    Motivazione e convizioni: elementi per un reale successo del coaching

    Il business coaching è un potente metodo di sviluppo che può aiutare i manager nella loro evoluzione sia umana che professionale.

    E’ un percorso per migliorare, dove la motivazione intrinseca ha un grande valore e gioca un ruolo chiave per il successo dello stesso.

    Ma come si genera e soprattutto come si alimenta questa motivazione intrinseca?

    Toccare le leve motivazionali giuste è molto importante, per far sì che il manager mantenga il focus e si attivi concretamente nel percorso di sviluppo. 

    Richiede, inoltre, che in fase di avvio del lavoro venga definito bene il senso ultimo che il manager vuole dare al proprio percorso di evoluzione.

    Occorre fare questo per  individuarne gli snodi cruciali su cui potrebbe attivare azioni di autosabotaggio.

    Gli snodi cruciali rappresentano gli elementi chiave su cui far emergere un primo livello di consapevolezza nel manager, rispetto a quelli che possono essere per lui degli ambiti di test della effettiva motivazione. 

    Ancor di più possono essere aspetti che permettono al manager stesso di far emergere eventuali convizioni limitanti rispetto ad agire comportamenti nuovi.

    Il business coaching ha come obiettivo ultimo quello di accompagnare il manager verso un miglioramento specifico.

    Serve a centrare il lavoro anche sulle convinzioni che si è sviluppato e che possono ostacolarci e rappresenta un passaggio chiave del percorso per realizzare concretamente il cambiamento desiderato.

    Si tratta di un viaggio con tante tappe che porta a costruire un percorso che si evolve e si trasforma grazie ai diversi apprendimenti che vengono sviluppati.

    È un viaggio che permette a chi lo fa di prendere consapevolezza degli aspetti umani e professionali che gli altri vedono in noi e che noi magari non realizziamo.

    Esplorare le convizioni per generare la trasformazione

    In questo viaggio è importante sicuramente lavorare sui comportamenti osservati ma ancor di più, e forse prima, è importante lavorare su livelli diversi, su quei livelli sottili che possono aiutare il manager a rilevare delle proprie caratteristiche profonde.

    Sono proprio queste caratteristiche che generano l’energia.

    Per questo motivo si lavora sulle convinzioni profonde che ognuno ha, per svelarle, riconoscerle ed entrarci dentro.

    Solo lavorando su livelli diversi si può sbloccare quel lato umano importante per avere un impatto sui risultati di business

    I risultati di business di fatto generati anche da atteggiamenti e comportamenti, spesso sfuggono alla consapevolezza di chi li attua.

    Per questo il business coaching è importante. 

    Aiuta proprio a fare questo: a disvelare, prima di tutto al manager, quali sono i livelli più sottili che impattano nel business.

    Connessione tra dimensione umana e tecnica

    Rendere visibile al manager queste dimensioni è la chiave di volta verso il cambiamento. 

    La trasformazione è un passaggio fluido che porta alla vetta più alta: quella che genera una trasformazione profonda.

    Il lato umano dei manager è stato per tanto tempo considerato non influente per la performance, anzi si è cercato di tenerlo fuori dalle aziende!

    Ma fortunatamente oggi grazie a numerosi studi abbiamo la possibilità di riconnettere le parti: quella umana emotiva e quella specialistica tecnica.

    Noi di Hermes abbiamo da sempre considerato questa prospettiva completa e su questo paradigma abbiamo lavorato con i nostri manager: non disgiungendo le parti ma connettendole nel loro valore.

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  • Progetto di formazione lavoro

    ACTION OUT OF THE BOX – Progetto di formazione lavoro per accrescere sinergie e collaborazione

    Da verticale ad orizzontale: cambiare le modalità di lavoro

    WOW!! Questo è stata l’esclamazione da parte del cliente ma anche e soprattutto da parte del suo team a conclusione di questo progetto di formazione e lavoro costruito con logiche e modalità distruptive per l’ambiente in cui è stato realizzato.

    Ed è stato proprio l’elemento distruptive che ha permesso di portare a casa il risultato che il cliente chiedeva.

    La sua richiesta era mirata: una trasformazione nelle logiche lavorative che portasse l’azienda a spostarsi da un modello fortemente verticale verso un modello più orizzontale.

    Alla base c’era la volontà di sviluppare logiche più cooperative volte a generare una importante sinergia nel sistema.

    La sfida è stata entusiasmante per il contesto in cui opera questa realtà e l’ambiente aziendale erano caratterizzati da personalità molto forti con qualche resistenza a mettere in discussione quello che stava di fatto comunque funzionando.

    Un ambiente sperimentale che destruttura le logiche quotidiane

    L’architettura di questo progetto di formazione e lavoro ha previsto la costruzione di un ambiente sperimentale.

    Si sono annullati i ruoli reali e le gerarchie ufficiali, agendo diversamente dal normale.

    Abbiamo coinvolto in maniera diversa più livelli aziendali per ingaggiarli fortemente verso modalità cooperative di funzionamento.

    Cosa abbiamo visto accadere nel progetto di formazione e lavoro:

    • tutti hanno giocato dei ruoli completamente diversi, una partita diversa, e hanno lavorato su temi diversi rispetto a quelli di loro presidio professionale
    • le stesse azioni progettuali riguardavano perimetri di contenuti completamente diversi da quelli che maneggiano quotidianamente
    • sono emerse una serie di caratteristiche, di potenzialità, che erano anche inespresse, quindi c’è stata la possibilità di far emergere tutte le risorse delle persone, al di là dei pregiudizi abituali e vederle agire
    • è aumentata la visione a 360° gradi del sistema azienda e le persone hanno implementato nuove competenze
    • il linguaggio del noi è fortemente cambiato, le persone si sono avvicinate, hanno capito cosa fanno, quali sono i mestieri, che cosa fanno i colleghi e come lo fanno. Si sono guardati veramente in un modo nuovo oltre, chiaramente, a portare a termine in maniera molto concreta dei progetti che erano strategici per l’organizzazione

    Portare le persone ad agire fuori dal proprio perimetro di riferimento ha permesso la sperimentazione concreta di uscire dalla confort zone.

    Ha generato un risultato eccezionale in termini di riorientamento di tutto il sistema verso una modalità operativa più singergica del quale siamo più che orgogliosi.

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  • è già stato detto tutto?

    Sviluppo del personale: è stato già detto tutto?

    Le ragioni per cui ci si approccia al tema dello sviluppo del personale in azienda sono molteplici.

    Su questo argomento è stato scritto di tutto e di più, che ovviamente si declina in tante sue varianti contenutistiche legate ai bisogni a cui risponde: recruiting, reskilling, gestione risorse, etc.

    Qui ne approfondiamo il significato con uno sguardo rivolto alla strategia entro cui si collocano le molteplici azioni legate allo sviluppo del personale.

    Lo sviluppo del personale strumento principe per le Direzioni HR

    Lo sviluppo del personale in azienda è una delle funzioni principali delle Direzioni Risorse Umane delle aziende, tanto che di solito vi è un’area dedicata specifica.

    Per essere realmente generatrice di valore per l’azienda questa funzione dovrebbe, a nostro avviso, muoversi in una logica fortemente orientata al sostegno delle aree di business.

    Sostenere il business: ma come farlo veramente?

    Punto principale è quello legato alla chiara consapevolezza e introiezione del purpose aziendale e delle strategie sviluppate dal Team di Direzione.

    Di fatto dovrebbe poi muoversi in linea con le strategie generando anch’essa pensieri e disegni strategici funzionali a sostenere la crescita e lo sviluppo del business, operando concretamente al loro fianco, anticipandone i bisogni e costruendo risposte funzionali ed adeguate.

    Lo sviluppo del personale in azienda dovrebbe essere non solo pensato connesso alle strategie, ma anche e soprattutto diretto alla loro implementazione.

    Per farlo bisogna creare percorsi, corsi, eventi e iniziative volte ad accrescere le skills e le abilità necessarie alle persone per portare valore e generare valore.

    Di fatto, in questa logica, lo sviluppo rappresenta lo strumento a sostegno del cambiamento e della realizzazione concreta.

    Dovrebbe anche, per essere vicino al business, esprimersi in azioni e percorsi da un lato agili, ma anche “trasformativi”.

    Ogni intervento dovrebbe essere volto a connettersi concretamente a creare un cambiamento reale nel modo di operare delle persone.

    Il trasformative learning come strumento a sostegno dello sviluppo

    Per noi occuparci con i nostri clienti di sviluppo e supportarli nella realizzazione di questo obiettivo, significa proprio produrre e sostenere il cambiamento reale.

    In questa logica abbiamo creato una metodologia peculiare che è il trasformative learning e che sta alla base della nostra azione.

    Con questa metodologia lavoriamo per generare una trasformazione in termini non solo di competenze, ma soprattutto di mindset, energia e motivazione.

    Come lo facciamo vi chiederete?

    Semplicemente così:

    • Creiamo contesti di apprendimento più facili e fluidi, che permettono alle persone di mettersi in discussione senza sentirsi giudicati, per aprirsi a nuovi modi di pensare.
    • Sviluppiamo percorsi che permettono di acquisire nuove convinzioni e quindi un nuovo mindset.
      Questo favorisce il superamento di quei blocchi interiori che impediscono alle persone di tirare fuori il meglio di sé e quindi portare davvero valore.

    In conclusione, generiamo esperienze che sappiano coinvolgere e che accendano la volontà e la determinazione ad esprimere il proprio valore.

    Ciò è per noi cruciale per garantire davvero i risultati e far sì che ci sia un reale sviluppo del personale in azienda.

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  • Chiave per implementare le strategie

    La Consulenza strategica: chiave per implementare le strategie

    Cosa intendiamo per consulenza strategica

    Per Hermes fare consulenza strategica vuol dire offrire una prospettiva di lettura della realtà organizzativa e degli snodi chiave esistenti, diversi da quelli identificati dall’interno dell’organizzazione.

    Questo serve per analizzare quelle aree di criticità sulle quali è importante intervenire per permettere di raggiungere i risultati.

    Cosa è una strategia aziendale e come la supportiamo con la nostra consulenza strategica

    Nella consulenza, uno degli aspetti prioritari che analizziamo è la strategia aziendale per comprendere bene qual è la direzione verso cui l’azienda si sta muovendo.

    Ma vediamo meglio questo aspetto.

    Una strategia aziendale rappresenta la direzione e gli obiettivi che un’organizzazione persegue nel lungo periodo e che gli permettono di raggiungere un vantaggio competitivo.

    La strategia che ogni realtà sceglie definisce le risorse e mezzi di cui dispone per soddisfare le esigenze dei mercati e quelle degli azionisti.

    Spesso queste strategie trovano difficoltà ad essere realizzate, nonostante vi sia un ottimo disegno organizzativo, siano presenti efficaci modelli applicativi e processi e ruoli definiti.

    Questo succede se oltre al disegno futuro non si è analizzato con efficacia lo stato presente in cui si trova l’organizzazione e non si sono messi a fuoco gli snodi cruciali su cui intervenire per fluidificare il passaggio all’implementazione della strategia.

    Ecco è qui che interveniamo come consulenti strategici.

    La nostra azione di consulenza si delinea nel sviluppare un analisi e co-disegnare con il cliente un piano a sostegno dell’implementazione delle strategie che portano i risultati.

    Noi lavoriamo per connettere tutte le componenti del sistema aziendale che agiscono per mettere a terra le strategie.

    E come lo facciamo? Condividendo chiarezza di visione, ingaggio sul senso (perché), ascolto dei dubbi, accoglienza dei feedback, generazione di contributi per costruire le azioni ed i comportamenti che generano i risultati di tutti.

    In un processo di cambiamento,  “vedere” i risultati è importante perché permette di sviluppare e consolidare la fiducia e la generazione di energia.

    Tuttavia, per raggiungere risultati solidi e duraturi nel tempo è importante dare spazio a momenti di consolidamento. In questo modo si può generare quella energia e quelle connessioni solide che servono alla realizzazione di obiettivi strategici

    Partnership e co-costruzione

    In questo percorso di sostegno per noi è importante che si realizzi una partnership forte, solida e fiduciosa per permettere di vedere quello che c’è e di accogliere le prospettive diverse che porta la consulenza.

    Nello sviluppo della nostra consulenza noi accompagniamo i clienti in percorsi di co-costruzione delle azioni e dei processi che permettono quei cambiamenti giusti ed adatti per le persone e per i risultati.

    Nei nostri percorsi non ci sostituiamo ai manager ma li affianchiamo offrendo la nostra vista e le ipotesi di soluzione.

    Siamo consapevoli che il cambiamento non è un percorso lineare, facile e immediato ed è proprio per questo che in questi 20 anni abbiamo creato approcci e strumenti che accelerano il processo e i cui driver comuni d’azione sono:

    • allineare

    • condividere

    • partecipare

    • sperimentare

    Attraverso questi driver riattiviamo l’energia delle persone costruendo e alimentando un circolo virtuoso di collaborazione e sostegno reciproco che si riflette positivamente su tutto il sistema azienda.

    Implementare strategie per noi significa permettere a tutte le persone, di essere partecipi del processo, contribuendovi e appropriandosene. Questo equivali a permettergli di dare veramente il proprio contributo alla realizzazione dei risultati, generando benessere ed energia.

    Perché la consulenza strategica efficace non è quasi mai una questione di tempo

    Per realizzare concretamente una strategia e andare verso una nuova direzione, è importante che i risultati siano visibili nel breve e medio periodo.

    E’ altresì importante avere chiaro che il risultato stabile ha bisogno di tempo, perché nel momento in cui si lavora per connettere, per generare nuove energie, per vedere prospettive diverse il tempo ha bisogno di generare solide basi che possono produrre solide nuove strade.

     

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  • i principi che guidano la nostra società di consulenza

    Hermes Consulting: i principi che guidano la nostra società di consulenza per farti vincere le sfide

    No, non siamo la solita Società di Consulenza: sai perché?

    Perché agiamo concretamente su quello in cui crediamo fermamente. La professionalità della nostra società di consulenza è il frutto di tratti culturali comuni tra i nostri professionisti.

    Questi tratti sono la struttura portante attraverso la quale perseguiamo ogni giorno la Mission di Hermes cioè: amplificare il contributo delle persone.

    Questi i tratti che muovono la nostra azienda:

    1. Diamo l’anima per imparare ed essere sempre all’avanguardia.
    2. Hermes è una palestra a cielo aperto in cui sviluppiamo noi stessi e i nostri clienti.
    3. Il nostro approccio è la respons-abilità, ovvero la capacità di rispondere in modo proattivo ed intraprendente ad ogni situazione con creatività, energia, competenza e cura.
    4. Per noi le persone sono il fulcro di ogni organizzazione, nella loro capacità di ascoltare, valutare, agire. Le emozioni in particolare sono fonte di energia che va riconosciuta, sostenuta e canalizzata.
    5. Fare la differenza è il nostro mantra. Negli obiettivi, nelle modalità, nell’attenzione alle sfumature e alla valorizzazione delle persone.
    6. L’errore e il feedback critico per noi sono fonte inesauribile di opportunità di miglioramento. Li leggiamo e li trasformiamo in spunti concreti di arricchimento.
    7. Un modello di lavoro strutturato, ben organizzato e periodicamente rinnovato è la base ideale per poter poi esprimere il talento individuale.
    8. Le differenze ci aiutano ad arrivare a meta.

    Il nostro modello strutturato

    Ed è grazie al modello strutturato di azione e ai diversi metodi specifici che con i nostri clienti operiamo per potenziare l’energia nel sistema e facilitare la cooperazione e la crescita.

    Come abbiamo già detto in precedenza lavoriamo sulle dimensioni sottili delle persone e sappiamo prendercene cura con la maestria necessaria ed abbiamo sviluppato delle metodologie specifiche e degli strumenti che lavorano in tal senso.

    Un esempio su tutti è quello dell’Outdoor Culturale®, che attraverso la metafora dell’arte (con visite culturali a musei, gallerie d’arte, giardini, città, etc…) accompagna le persone in un viaggio potenziante, che innesca e favorisce lo sviluppo individuale e del team.

    Se hai voglia di saperne di più sulla nostra società di consulenza ti invitiamo a cliccare qui dove potrai approfondire alcuni degli ambiti in cui interveniamo ma anche i metodi che utilizziamo.

    Se invece hai un bisogno specifico e vuoi capire se siamo la realtà che può supportarti con la nostra consulenza puoi scriverci qui.

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  • come fare la differenza

    Organizzazione aziendale: come fare la differenza e amplificare i risultati di business con Hermes Consulting

    Cosa muove questa organizzazione aziendale

    Lavorando nell’ambito dell’organizzazione aziendale, siamo convinti che questo mondo sia un luogo meraviglioso in cui le persone possono fare la differenza per viverlo, curarlo e migliorarlo con una prospettiva di felicità e sostenibilità.

    Chi siamo

    Da 25 anni accompagniamo le persone e le Aziende in processi di cambiamento, favorendone il potenziamento e la crescita sia personale che nel ramo dell’organizzazione aziendale.

    Lo facciamo basando le nostre azioni, i nostri progetti e il nostro modello operativo sull’amplificazione del contributo di ogni persona verso il raggiungimento dei risultati.

    Catalizziamo energie e risorse presenti, fornendo strumenti per aumentare la loro efficacia.

    Per affrontare con successo le sfide che ci vengono proposte, utilizziamo metodi specifici per potenziare l’energia nel sistema, la relazione, la respons-abilità e le competenze nelle persone.

    Siamo un gruppo di oltre 50 professionisti, consulenti senior, coach certificati, psicologi con un team di supporto che opera dalla nostra sede di Firenze.

    Lavoriamo a stretto contatto con le Direzioni e con la Funzione HR, in una logica di partnership reciproca,

    In questo modo riusciamo a costruire attività su misura con il contesto aziendale e con le richieste del mercato.

    Come operiamo

    L’approccio di fondo, che accomuna i nostri progetti e che negli anni ha dato prova della sua efficacia, si costruisce su delle metodologie che permettono alle persone di lavorare su più livelli:

    1. focalizzazione delle persone sulla strategia e organizzazione aziendale e i risultati concreti da sviluppare, nel loro ambito di lavoro;
    2. potenziamento degli aspetti motivazionali e delle competenze personali, per interpretare più efficacemente il proprio ruolo;
    3. rafforzamento delle relazioni, dell’engagement e del lavoro di squadra, necessari affinché tutto il sistema si muova nella stessa direzione.

    Questo approccio integrato favorisce lo sviluppo di un growth mindset.

    Grazie ad esso le persone, a tutti i livelli, diventano responsabili e consapevoli del loro contributo, per favorire la crescita del contesto in cui operano.

    La nostra esperienza dal 1996 si fonda su ricerche e studi internazionali che confermano, anche con le nuove scoperte delle neuroscienze e la quantistica, la nostra scelta nell’approccio al cambiamento.

    Le dimensioni sottili, profonde e poco coscienti, incidono in modo preponderante.

    Lavoriamo sui livelli sottili del funzionamento umano, affinché tutte le persone possano acquisire e sviluppare le migliori competenze per muoversi nel cambiamento.

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