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  • Curare i traumi dello Smart Working

    Harvard Business Review Italia

    Parliamo di Smart Working. In che modo questa pratica nata per rigenerare il rapporto tra persone e lavoro, sta creando traumi per le organizzazioni e per le persone. Lo chiediamo a Michela Melchiori, Partner di Hermes Consulting.

    Al di là del suo utilizzo durante l’emergenza della pandemia che lo ha visto come strumento sanitario, lo Smart Working, con la sua nascita, voleva rigenerare il rapporto tra la persona e il lavoro in una prospettiva di co-responsabilità, con l’ambizione di soddisfare contemporaneamente la produttività e l’autonomia che fino a quel momento erano antinomici.

    Ciò che ha sempre caratterizzato il rapporto tra le persone e il mondo del lavoro nei suoi diversi aspetti, è stata la necessità di trovare varie forme di adattamento, con gradazioni di diversa intensità che potevano sfociare anche nello stress o nel burnout, in quei momenti della vita organizzativa che fossero diventati particolarmente complessi per le persone.

    Questa dimensione del disagio però si manifesta anche oggi, benché lo Smart Working sia diventato la normalità: infatti, ora, l’indipendenza dei singoli si scontra con alcune fondamentali dimensioni della vita professionale e del funzionamento delle organizzazioni. Facciamo riferimento al fatto che da anni si cerca di migliorare il lavoro dei gruppi come risposta alla crescente complessità e si cerca di superare il più possibile le barriere funzionali, in una prospettiva di comunità: si investe su inclusione, intelligenza collettiva e cooperazione come risposte necessarie allo sviluppo di organizzazioni flessibili, capaci di affrontare l’incertezza e di rinnovarsi per mantenere o sviluppare quote di mercato.

    Ma oggi è proprio nella maggior autonomia originata dallo Smart Working, che si crea un’incompatibilità nel rigenerare queste dimensioni, dimenticando che la persona non è solo individuo, ma anche appartenenza.

    In molte organizzazioni, perciò, si sta passando da una vecchia forma di alienazione a una nuova, che agisce in negativo sull’empowerment delle persone.

    Anche le neuroscienze confermano questa percezione: le ricerche indicano che la mancanza di interazioni faccia a faccia nello Smart Working, può influenzare i neurotrasmettitori legati alle relazioni sociali. La dopamina, ad esempio, può diminuire con la ridotta connessione sociale, influenzando la motivazione e il coinvolgimento dei membri del team. Inoltre, la mancanza di confini chiari tra vita lavorativa e personale può stimolare il sistema nervoso autonomo, influenzando la produzione di cortisolo e altri neurotrasmettitori coinvolti nella risposta allo stress, che originano nelle relazioni una maggiore aggressività o, al contrario, l’evitamento.

    Se quello che stiamo descrivendo è reale, significa che siamo di fronte ad un possibile paradosso: l’azienda promuove lo Smart Working perché vuole essere più produttiva e invece ottiene una disorganizzazione che rende meno efficiente l’organizzazione stessa, fino a minacciarne la longevità.

    Allora, Dottoressa, alla luce di queste riflessioni, possiamo immaginare di tornare indietro?

    Direi di no, anche se stiamo riscontrando che diverse aziende lo vorrebbero fare. Le persone hanno visto che nel lavoro agile ci sono comunque dei benefici non sostituibili da una compensazione economica e le organizzazioni correrebbero il rischio di perdere valore.

    C’è anche da ricordare che prima della pandemia il senso di appartenenza era profondamente legato a un luogo permeato da una cultura spesso implicita. Oggi, il luogo è sempre più evanescente ed è necessario rendere esplicite le radici culturali e i comportamenti organizzativi per nutrire l’engagement.

    Occorre, quindi, investire per ridurre il rischio di alienazione e stimolare le persone a sviluppare il senso di appartenenza, per riconoscersi comunità che condivide uno scopo e genera valore. Le dimensioni affettive così come quelle negoziali, essenziali per la cooperazione, devono trovare degli spazi fisici in cui emergere e allenarsi in relazioni reali in presenza.

    Possiamo identificare dei bisogni essenziali nella vita dei Team e delle Funzioni che ad oggi rischiano di perdersi con lo Smart Working?

    Lo chiediamo a Francesca Carimati, Client Manager, che sta seguendo lo sviluppo di queste progettualità.

    Dalla nostra esperienza, abbiamo visto che i Team e le Funzioni hanno bisogno di:

    1. Riconoscere il loro momento costitutivo attraverso l’esplicitazione del loro scopo e dei loro valori. Questa azione va rigenerata periodicamente per mantenere la motivazione;

    2. Avere il collante della fiducia tra i membri e questo avviene attraverso dei momenti che facilitano l’incontro di dimensioni intime e umane;

    3. Poter collaborare includendo le persone nonostante la distanza o l’appartenenza a funzioni diverse;

    4. Rifocalizzarsi attraverso un’analisi critica periodica, per trovare le soluzioni nuove da realizzare assieme

    5. Rimanere aperti all’evoluzione, sviluppando una mentalità e delle pratiche per il miglioramento continuo e l’innovazione.

     

    L’osservazione di questi bisogni ha acceso in noi l’esigenza di voler contribuire, anche come Società Benefit, mettendo a disposizione di tutti l’esperienza trentennale di facilitazione con i Leadership Team, ma con un approccio e dei costi compatibili con le esigenze aziendali di estendere gli interventi su molti Team o Funzioni.

    Per questo abbiamo ripreso la metodologia dell’Outdoor Culturale®, capace di integrare in poco tempo dimensioni relazionali e operative, utilizzando esperienze ad alto impatto emotivo con l’ausilio di metafore potenti e laboratori strutturati per accelerare la co-creazione e il problem solving e l’abbiamo sviluppata sulle 5 aree dei bisogni individuati.

    Così sono nati i Regenera-Team®, facili da organizzare e replicabili all’interno dell’organizzazione con un relativo impiego di risorse, realizzabili sia in indoor che in outdoor.

    Questi interventi contengono una tecnologia di accelerazione alla trasformazione che abbiamo creato integrando diversi studi, dalle neuroscienze all’arte. Sono dei veri momenti di trasformazione nei quali, le problematiche di cui abbiamo parlato, trovano risposte grazie agli stimoli e alla facilitazione da parte di esperti che, aggregando energie e menti, favoriscono il rafforzamento dello spirito della squadra.

    Dalla nostra esperienza sappiamo che le persone li apprezzano molto, perché non erodono il valore del tempo privato e con la facilitazione e la metodologia che assicuriamo, ottengono ottimi risultati in breve tempo. Ecco il cambiamento: dal vivere molti momenti a bassa intensità nel quotidiano, al creare dei momenti ad alta intensità, che sono veri e propri abilitatori per i gruppi che desiderano coltivare la loro vitalità.

    Con l’intelligenza artificiale possiamo considerare questi bisogni superati?

    Al contrario, perché l’Intelligenza Artificiale accentuerà il bisogno delle organizzazioni di differenziarsi. Sappiamo che le tecnologie sono tutte acquistabili, se non nel breve, nel medio termine. L’unica cosa che può far emergere l’organizzazione dall’oceano rosso della competizione è il contributo dell’essere umano; ma quell’apporto, per rendere riconoscibile un’organizzazione, deve essere fondato e coerente con la cultura dell’organizzazione stessa. Quindi è ancora più necessario creare le condizioni affinché le persone e i team sostengano l’identità e lo scopo dell’organizzazione.

    Come possono contattarvi le aziende per avere il vostro aiuto?

    Potete scrivere a me e Michela a questi indirizzi mail: michela.melchiori@hermesconsulting.com e francesca.carimati@hermesconsulting.com

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