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  • OLTRE I CONFINI DELL’ETÀ: L’INTELLIGENZA INTERGENERAZIONALE PER UNIRE E INNOVARE

    HBR: Oggi in molte organizzazioni emerge una sfida riguardante l’intergenerazionalità che, se non affrontata e gestita, può essere foriera di una grande dispersione di energie. Ne parliamo con Hermes Consulting.

    Chiediamo il punto di vista di Diego Martone, consulente Hermes Consulting e autore del libro “Senza Età. Come generazioni diverse coesistono e insieme creano valore”.

    Attualmente nelle aziende convivono 4 generazioni, spesso descritte solo per gli elementi che esaltano le differenze di origine, cultura e linguaggio, bisogni, competenze e aspirazioni.

    Anche le indagini intergenerazionali delle aziende si imbattono in un noto luogo comune: “È difficile capirsi, vedersi, riconoscersi e parlare la stessa lingua”. Questo pensiero è una scorciatoia facile, un mix dei bias di semplificazione e conferma, che evidenzia quasi esclusivamente le differenze, spesso esagerandole e stereotipandole. Il risultato è scontato: l’incomunicabilità e il mancato riconoscimento reciproco.

    Come possiamo affrontare queste distorsioni? Possiamo alimentare  l’inter-operabilità umana, ovvero un sistema che permetta di valorizzare ogni contributo      con     visione     unitaria,     integrata     e prospettica, prescindendo da qualsiasi tematica connessa all’età, perseguendo un obiettivo comune.

    Non  è  solo  utile  farlo,  ma  è  necessario  per  il benessere dell’azienda e le positive ricadute sia sul business che sulla salute delle persone.

    Perché è così difficile per noi accettare e integrare la diversità generazionale, nonostante gli sforzi consapevoli? Lo chiediamo ad Eleonora Ventura, psicologa del Wellbeing.

    L’integrazione della diversità non è mai stata una cosa semplice.

    Le neuroscienze ci insegnano che il nostro cervello cerca naturalmente l’omogeneità ed è sospettoso verso ciò che percepiamo diverso. Siamo fisiologicamente predisposti a creare un gruppo di appartenenza e a rafforzarne il valore per distinzione dagli altri, di cui estremizziamo i tratti più lontani dai nostri.

    Un meccanismo istintivo che è stato utile per semplificare la complessità. Ci ha guidato spesso a non vederci, a giudicarci per semplificare, a trarre le nostre conclusioni troppo in fretta, ad escluderci a vicenda, alimentando pregiudizi e stereotipie.

    Cosa vedete succedere nelle aziende in cui ci sono dei silos generazionali? Lo chiediamo a Lucia Grazi, Partner da oltre 20 anni e responsabile dell’inserimento di giovani in Hermes Consulting.

    Il fenomeno “Giovani talenti cercasi” o “Nuovi talenti in fuga” è ormai evidente, parallelamente a un fenomeno di marginalizzazione delle persone sopra i 50 anni.

    L’emergere di silos generazionali porta con sé chiari sintomi di disfunzione: notiamo una comunicazione inefficace e una marcata resistenza al cambiamento, soprattutto tra i membri più anziani dell’organizzazione. Queste frizioni limitano non solo le opportunità di mentorship tra le generazioni, ma generano anche tensioni che compromettono la collaborazione, rendendo l’ambiente lavorativo meno coeso. Inoltre, la mancanza di integrazione tra le generazioni spesso causa un alto turnover: i giovani lasciano in cerca di nuove opportunità, mentre i senior si sentono trascurati e sottovalutati.

     

    Inoltre, la difficoltà di innovare a fondo e la sfida di parlare lo stesso linguaggio dei nuovi clienti, sono dirette conseguenze di una conoscenza che non viene condivisa come dovrebbe. Ciò che impariamo e come interpretiamo le informazioni dovrebbero essere patrimonio comune, ma spesso non lo sono.

    Chi può abilitare una trasformazione?

    Per trasformare le culture in azienda, 3 parti devono entrare in dialogo: il Management, l’HR e una rappresentanza di generazioni diverse.

    Serve una leadership inclusiva e sensibile, capace di favorire la mediazione e l’incontro tra persone, che valorizzi i diversi contributi estendendoli in un’unica voce. Allo stesso modo, HR ha bisogno di rivedere i presupposti su cui sviluppa la cura delle persone, dalla selezione, alla valutazione, al dialogo continuo nei team, a strumenti che abilitino una condivisione reale.

    Eleonora, nel tuo ruolo di Client Manager, cosa proponi alle aziende per identificare e capitalizzare punti di forza e aree di miglioramento tra le diverse generazioni in azienda?

    Per prima cosa, organizziamo un workshop che si chiama “Senza età”, come il libro di Diego, per sensibilizzare i leadership team e i manager a scoprire i bias nascosti.

    Poi il nostro approccio fotografa l’azienda con analisi generazionali di clima e focus group a rappresentanza inclusiva, in cui esploriamo anche gli scenari di futuro possibili, con una metodologia consolidata, per individuare quello auspicato e facciamo scegliere i passi da fare insieme per realizzarlo: lo chiamiamo Future- proof horizons strategies e rende già chi partecipa, attore di una co-creazione inclusiva, perciò “nostra”.

    E dopo questa presa di consapevolezza, Lucia, come uscire dai silos e creare un ponte per la co-creazione?

    Lo facciamo con una rappresentanza inclusiva, dove Leadership Team, HR e popolazione aziendale intergenerazionale, co-creano l’Employée Value Proposition. Gruppi di lavoro tematizzati incarnano diverse parti dell’azienda e della sua cultura e sono invitati a catturare e raccontare aspetti della loro organizzazione nel presente e in progressione. Testimoniano valori, pratiche, significati condivisi.

    Seguono i Grounding Action Lab percorsi concreti per passare dalla cultura all’azione, in cui coinvolgiamo gruppi eterogenei, che a partire da obiettivi e aspetti identitari comuni, prima negoziano le linee di indirizzo sugli sviluppi strategici, da integrare nel piano di impresa. Poi, trasformano le priorità di azione in cantieri di progettazione, testing e implementazioni pilota, sperimentabili in contesti controllati e cicli brevi.

    Le generazioni si incontrano e generano insieme. Inoltre, possiamo unire valori e innovazione. Un caso è quello della Value Innovation Week”,  un evento rivolto a tutta la popolazione aziendale, per lavorare sui valori insieme e tramutarli in nuove idee frutto di contaminazione e conoscenza reciproca.

    E non dimentichiamo gli “Age of Value”, percorsi di group coaching per rinnovare l’impulso professionale di chi ha più esperienza, valorizzandone le competenze e stimolando la trasmissione di best practices.

    Come inquadrate le progettualità che sviluppate rispetto alle tematiche generazionali?

    Alimentiamo un’intelligenza intergenerazionale collettiva.

    Diego, come definite l’intelligenza intergenerazionale e quale impatto ha questo approccio sulla cultura aziendale?

     Consideriamo l’intelligenza intergenerazionale individuale come la capacità di riconoscere le diverse prospettive, competenze e valori, della propria e di altre generazioni, armonizzarle e metterle a fattore comune, per trovare soluzioni nuove.

    Hermes Consulting trasferisce sull’azienda tale approccio che riconosce la diversità di età come una risorsa preziosa e non un ostacolo.

    Mettere in pratica un’intelligenza intergenerazionale collettiva, significa creare un ambiente dove l’etica e la cultura valoriale, il sapere esperienziale e le pratiche consolidate, la conoscenza di un ruolo incontrano nuove idee, una mentalità aperta e il rinnovato desiderio di collaborare per un purpose comune.

    Attraverso il dialogo e la collaborazione intergenerazionale, le aziende possono migliorare significativamente la loro capacità di innovare e risolvere problemi in modo creativo. Questo pone le basi per una maggiore armonia interna, un’alta resilienza e la longevità dell’organizzazione.

    Come fare per attivare un progetto con voi?

    Siamo disponibili a incontrare chi fosse interessato e vedere quali soluzioni sono più adatte al suo contesto. Potete scrivere a lucia.grazi@hermesconsulting.com e visitare il nostro sito www.hermesconsulting.it

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  • Curare i traumi dello Smart Working

    Harvard Business Review Italia

    Parliamo di Smart Working. In che modo questa pratica nata per rigenerare il rapporto tra persone e lavoro, sta creando traumi per le organizzazioni e per le persone. Lo chiediamo a Michela Melchiori, Partner di Hermes Consulting.

    Al di là del suo utilizzo durante l’emergenza della pandemia che lo ha visto come strumento sanitario, lo Smart Working, con la sua nascita, voleva rigenerare il rapporto tra la persona e il lavoro in una prospettiva di co-responsabilità, con l’ambizione di soddisfare contemporaneamente la produttività e l’autonomia che fino a quel momento erano antinomici.

    Ciò che ha sempre caratterizzato il rapporto tra le persone e il mondo del lavoro nei suoi diversi aspetti, è stata la necessità di trovare varie forme di adattamento, con gradazioni di diversa intensità che potevano sfociare anche nello stress o nel burnout, in quei momenti della vita organizzativa che fossero diventati particolarmente complessi per le persone.

    Questa dimensione del disagio però si manifesta anche oggi, benché lo Smart Working sia diventato la normalità: infatti, ora, l’indipendenza dei singoli si scontra con alcune fondamentali dimensioni della vita professionale e del funzionamento delle organizzazioni. Facciamo riferimento al fatto che da anni si cerca di migliorare il lavoro dei gruppi come risposta alla crescente complessità e si cerca di superare il più possibile le barriere funzionali, in una prospettiva di comunità: si investe su inclusione, intelligenza collettiva e cooperazione come risposte necessarie allo sviluppo di organizzazioni flessibili, capaci di affrontare l’incertezza e di rinnovarsi per mantenere o sviluppare quote di mercato.

    Ma oggi è proprio nella maggior autonomia originata dallo Smart Working, che si crea un’incompatibilità nel rigenerare queste dimensioni, dimenticando che la persona non è solo individuo, ma anche appartenenza.

    In molte organizzazioni, perciò, si sta passando da una vecchia forma di alienazione a una nuova, che agisce in negativo sull’empowerment delle persone.

    Anche le neuroscienze confermano questa percezione: le ricerche indicano che la mancanza di interazioni faccia a faccia nello Smart Working, può influenzare i neurotrasmettitori legati alle relazioni sociali. La dopamina, ad esempio, può diminuire con la ridotta connessione sociale, influenzando la motivazione e il coinvolgimento dei membri del team. Inoltre, la mancanza di confini chiari tra vita lavorativa e personale può stimolare il sistema nervoso autonomo, influenzando la produzione di cortisolo e altri neurotrasmettitori coinvolti nella risposta allo stress, che originano nelle relazioni una maggiore aggressività o, al contrario, l’evitamento.

    Se quello che stiamo descrivendo è reale, significa che siamo di fronte ad un possibile paradosso: l’azienda promuove lo Smart Working perché vuole essere più produttiva e invece ottiene una disorganizzazione che rende meno efficiente l’organizzazione stessa, fino a minacciarne la longevità.

    Allora, Dottoressa, alla luce di queste riflessioni, possiamo immaginare di tornare indietro?

    Direi di no, anche se stiamo riscontrando che diverse aziende lo vorrebbero fare. Le persone hanno visto che nel lavoro agile ci sono comunque dei benefici non sostituibili da una compensazione economica e le organizzazioni correrebbero il rischio di perdere valore.

    C’è anche da ricordare che prima della pandemia il senso di appartenenza era profondamente legato a un luogo permeato da una cultura spesso implicita. Oggi, il luogo è sempre più evanescente ed è necessario rendere esplicite le radici culturali e i comportamenti organizzativi per nutrire l’engagement.

    Occorre, quindi, investire per ridurre il rischio di alienazione e stimolare le persone a sviluppare il senso di appartenenza, per riconoscersi comunità che condivide uno scopo e genera valore. Le dimensioni affettive così come quelle negoziali, essenziali per la cooperazione, devono trovare degli spazi fisici in cui emergere e allenarsi in relazioni reali in presenza.

    Possiamo identificare dei bisogni essenziali nella vita dei Team e delle Funzioni che ad oggi rischiano di perdersi con lo Smart Working?

    Lo chiediamo a Francesca Carimati, Client Manager, che sta seguendo lo sviluppo di queste progettualità.

    Dalla nostra esperienza, abbiamo visto che i Team e le Funzioni hanno bisogno di:

    1. Riconoscere il loro momento costitutivo attraverso l’esplicitazione del loro scopo e dei loro valori. Questa azione va rigenerata periodicamente per mantenere la motivazione;

    2. Avere il collante della fiducia tra i membri e questo avviene attraverso dei momenti che facilitano l’incontro di dimensioni intime e umane;

    3. Poter collaborare includendo le persone nonostante la distanza o l’appartenenza a funzioni diverse;

    4. Rifocalizzarsi attraverso un’analisi critica periodica, per trovare le soluzioni nuove da realizzare assieme

    5. Rimanere aperti all’evoluzione, sviluppando una mentalità e delle pratiche per il miglioramento continuo e l’innovazione.

     

    L’osservazione di questi bisogni ha acceso in noi l’esigenza di voler contribuire, anche come Società Benefit, mettendo a disposizione di tutti l’esperienza trentennale di facilitazione con i Leadership Team, ma con un approccio e dei costi compatibili con le esigenze aziendali di estendere gli interventi su molti Team o Funzioni.

    Per questo abbiamo ripreso la metodologia dell’Outdoor Culturale®, capace di integrare in poco tempo dimensioni relazionali e operative, utilizzando esperienze ad alto impatto emotivo con l’ausilio di metafore potenti e laboratori strutturati per accelerare la co-creazione e il problem solving e l’abbiamo sviluppata sulle 5 aree dei bisogni individuati.

    Così sono nati i Regenera-Team®, facili da organizzare e replicabili all’interno dell’organizzazione con un relativo impiego di risorse, realizzabili sia in indoor che in outdoor.

    Questi interventi contengono una tecnologia di accelerazione alla trasformazione che abbiamo creato integrando diversi studi, dalle neuroscienze all’arte. Sono dei veri momenti di trasformazione nei quali, le problematiche di cui abbiamo parlato, trovano risposte grazie agli stimoli e alla facilitazione da parte di esperti che, aggregando energie e menti, favoriscono il rafforzamento dello spirito della squadra.

    Dalla nostra esperienza sappiamo che le persone li apprezzano molto, perché non erodono il valore del tempo privato e con la facilitazione e la metodologia che assicuriamo, ottengono ottimi risultati in breve tempo. Ecco il cambiamento: dal vivere molti momenti a bassa intensità nel quotidiano, al creare dei momenti ad alta intensità, che sono veri e propri abilitatori per i gruppi che desiderano coltivare la loro vitalità.

    Con l’intelligenza artificiale possiamo considerare questi bisogni superati?

    Al contrario, perché l’Intelligenza Artificiale accentuerà il bisogno delle organizzazioni di differenziarsi. Sappiamo che le tecnologie sono tutte acquistabili, se non nel breve, nel medio termine. L’unica cosa che può far emergere l’organizzazione dall’oceano rosso della competizione è il contributo dell’essere umano; ma quell’apporto, per rendere riconoscibile un’organizzazione, deve essere fondato e coerente con la cultura dell’organizzazione stessa. Quindi è ancora più necessario creare le condizioni affinché le persone e i team sostengano l’identità e lo scopo dell’organizzazione.

    Come possono contattarvi le aziende per avere il vostro aiuto?

    Potete scrivere a me e Michela a questi indirizzi mail: michela.melchiori@hermesconsulting.com e francesca.carimati@hermesconsulting.com

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  • Volto umano con sfere colorate

    NESSUNO SOSTITUISCE NESSUNO

    INTRODUZIONE

    L’orbita dell’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale (AI) Generativa segna un punto di svolta nella storia del lavoro. Tecnologie che un tempo erano ritenute appannaggio esclusivo della fantascienza stanno ora entrando nella nostra realtà quotidiana, alterando radicalmente i modelli di business, le professioni e le competenze lavorative.

    GLI IMPATTI

    Charlene Li, una delle massime esperte di strategia aziendale e tecnologie digitali, ha evidenziato, nella sua vasta esperienza e i suoi molteplici studi, come l’AI generativa non sia soltanto un’evoluzione tecnologica, ma rappresenti una vera e propria rivoluzione, capace di creare una “mega trasformazione” nel mondo del lavoro.

    Questa tecnologia non solo migliorerà l’efficienza in alcuni compiti, superando la capacità umana in velocità e precisione, ma modificherà anche radicalmente i ruoli lavorativi, creando nuove professioni e richiedendo una riqualificazione significativa della forza lavoro attuale.

    Inizialmente, i ruoli più impattati includeranno copywriter, gestori di social media, operatori di call center e assistenti legali, richiedendo competenze aggiuntive per la revisione e l’ottimizzazione dei contenuti generati dall’AI.

    Le statistiche suggeriscono che entro 18 mesi i 2/3 dei lavoratori modificheranno significativamente il proprio lavoro.

    Valigetta da lavoro con il mondo alle spalle

    L’introduzione dell’AI nel quotidiano lavorativo sta rivoluzionando la tradizionale concezione di “lavoro” basato su mansioni ripetitive e a basso valore aggiunto. Robotica e sistemi intelligenti assumono su di sé questi compiti, liberando risorse umane per dedicarsi a ruoli che richiedono creatività, pensiero critico e sensibilità emotiva.

    Un esempio?

    Nel settore della customer experience l’AI gestisce le interazioni di routine, permettendo, così, agli addetti di concentrarsi su casi più complessi e su una personalizzazione del servizio che solo l’intuito umano può offrire.

    La transizione da compiti operativi a quelli strategici e creativi sottolinea l’importanza dell’aggiornamento professionale e dell’apprendimento continuo.

    L’integrazione dell’AI nel core business delle aziende sta catalizzando la nascita di professioni inedite, intrinsecamente legate alla gestione e all’analisi dei dati, alla sicurezza informatica e allo sviluppo di soluzioni basate su machine learning.

    Una delle figure che sta emergendo con immensa velocità è quella del “Prompt Designer”, un esperto che si occupa di inserire gli input necessari ad ottenere l’efficientamento degli output dell’AI, e diversamente dai programmatori che immaginiamo, dominano competenze poco tecniche e molto trasversali, quali ad esempio: creatività, formazione trasversale, open mindset, chiarezza e concisione, capacità di testare e valutare, attitudine al miglioramento continuo, conoscenza dei bias dei dati.

    La figura nascente dell’esperto in etica dell’AI, invece, riflette la crescente necessità di guidare lo sviluppo e l’impiego delle Tecnologie Intelligenti all’interno di un quadro etico e normativo chiaro e condiviso, garantendo che l’innovazione proceda di pari passo con il rispetto dei principi di equità e trasparenza.

    NESSUNO SOSTITUISCE NESSUNO

    Il cambiamento indotto dall’AI generativa sottolinea l’importanza cruciale del pensiero critico e di riqualificazione e acquisizione di nuove competenze per

    posizioni diverse all’interno delle organizzazioni.

    Ognuno sarà chiamato ad essere Project Leader del proprio operato, apprendendo come guidare e dare indicazioni piuttosto che fare. Ognuno sarà maggiormente responsabile del proprio lavoro, del proprio sviluppo, dei dati che condivide con la macchina.

    L’invito per le aziende oggi è essere proattive nell’affrontare la trasformazione guidata dall’AI generativa.

    È fondamentale che i leader aziendali inizino a pianificare sin da ora come questa tecnologia influenzerà la loro strategia, la forza lavoro e l’esperienza cliente, preparandosi ad un cambiamento che, secondo le stime, inizierà a manifestarsi in modo significativo tra poco più di un anno, ma già è diffuso in ogni media.

    Sarà fondamentale, per lo sviluppo di questa trasformazione, che le persone non vedano nell’AI una minaccia, piuttosto un’alleanza strategica al proprio efficientamento e alla propria crescita. All’interno di un perimetro definito, la sfida sarà, dunque, quella di sperimentare, testare soluzioni, apprendere come il proprio mestiere possa essere potenziato.

    Emergono in modo chiaro nuovi bisogni.

    Indipendentemente dal ruolo, tutti i membri dell’organizzazione devono essere preparati a interagire con l’AI. Ciò richiede una cultura di trasparenza, dove le decisioni e le strategie relative all’AI sono comunicate apertamente, e dove c’è spazio per feedback e dialogo. Soprattutto per le domande. Dove si ha fiducia, si promuove l’autonomia, si accetta anche lo spazio dell’incertezza e della vulnerabilità. La co-partecipazione nel processo di integrazione dell’AI aiuta a mitigare le paure e le ansie, promuovendo un ambiente in cui tutti si sentono valorizzati e parte integrante del futuro dell’organizzazione. Questo non è un cambiamento che può avvenire dall’alto ma piuttosto è la sinergia tra le persone che può espandere a dismisura lo sviluppo di un’organizzazione.

     

    RISPONDERE E PERCORRE L’EVOLUZIONE

    È fondamentale oggi sviluppare piani di trasformative learning che rispondano concretamente ai bisogni emergenti, promuovendo il pensiero critico, l’adattabilità, e la capacità di lavorare efficacemente con l’AI. Ma prima di tutto sarà necessario un cultural change delle aziende, che si espanda coinvolgendo tutte le persone, prima di tutto nello stabilire una cornice culturale che funga da bussola nell’utilizzo di questi strumenti e poi un perimetro che aiuti ogni partecipante a sperimentare.

    CONCLUSIONI

    Il futuro del lavoro si prospetta come un ecosistema in cui l’intelligenza umana e artificiale coesistono e cooperano per superare i limiti dell’innovazione. Questa sinergia non solo potenzia la produttività ma arricchisce anche il lavoro di dimensioni creative e strategiche prima inesplorate. In questo contesto, l’AI non è vista come un sostituto dell’uomo ma come uno strumento per esaltare e completare le capacità umane, spianando la strada verso un futuro lavorativo collaborativo, stimolante e ricco di opportunità.

     

     

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  • immagine che raffigura connessioni, energia, colori

    La Leadership Cosciente: Guidare il Cambiamento verso un Futuro Sostenibile

    Nel contesto attuale, caratterizzato da un sistema adattivo complesso, flessibile e multiforme, la leadership riveste un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

    Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) che vogliamo realizzare richiedono connessione e co-creazione; si traducono in azioni coordinate, sociali, economiche e ambientali, a livello regionale, nazionale, internazionale. Sono realizzabili se si creano connessioni, reti tra società, enti governativi, istituzioni educative. Chi può compiere queste difficili imprese? Chi ha il ruolo di “mettere insieme i puntini?”

     

    Schema leadership cosciente, rappresentazione grafica

    Siamo immersi nella complessità. Come facciamo ad impattare su questo sistema, a trasformarlo, a raggiungere gli SDGs?

    Non bastano regolamenti chiari e politiche ben progettate. Spesso ciò che fa la differenza è l’ispirazione, la lungimiranza e la capacità di comunicare che solo un vero leader conosce, per guidare azioni coordinate e movimenti sociali in cui le persone sono coese e allineate.

    L’effetto del leader sui sistemi complessi è indiretto e imprescindibile; avviene attraverso la manifestazione di un’identità organizzativa e di uno scopo verso cui le persone tendono e confluiscono.

    I leader possono seminare e coltivare un perché collettivo, attivare cambiamenti sociali e adottare molteplici approcci.

    Per anni le aziende hanno cercato di tracciare l’identikit di chi guida il cambiamento. Hanno indagato spesso le competenze da sviluppare per essere leader di successo.

    Oggi ci stiamo chiedendo: come si rappresenta il mondo il leader ad alto impatto trasformativo? Come organizza nel suo cervello l’esperienza che vive?

    Gli studi ci dicono che il ruolo della leadership è centrale per volgere davvero le azioni collettive verso la sostenibilità e la longevità, ma che una caratteristica tra tutte fa la differenza e risiede nello sviluppo della coscienza.

     

    La Leadership della Trasformazione:

    Il leader della trasformazione ha un’autoconsapevolezza elevata e un senso di coscienza allargato che gli permettono di passare rapidamente da un punto di vista all’altro, di cogliere le connessioni tra le cose, di leggere i segnali sottili con un’ampia sensibilità e un fine ascolto, ma soprattutto, di organizzare le esperienze e i punti di osservazione per costruire senso e trovare significato.

     

    La Coscienza come Strumento di Auto-Riflessione:

    La nostra coscienza orienta il nostro focus attentivo e mette in luce il rapporto tra ciò di cui siamo consapevoli e ciò che rimane nascosto. È indicativa di cosa notiamo, cosa sentiamo o meno sotto la nostra responsabilità, come valutiamo l’impatto di ciò che facciamo.

    Quando è estesa e ampiamente sviluppata ci permette di avere un’identità dinamica e quest’ultima ci abilita ad uno sguardo più critico, profondo e olistico anche verso le nostre convinzioni, le nostre abitudini e i nostri modi di pensare. Ci aiuta anche a prendere le distanze da noi stessi, il tempo necessario per ricavare un punto di vista diverso che completa il quadro. Noi diventiamo oggetti nella nostra riflessione e ci guardiamo nel nostro divenire.

    Questa capacità di auto-riflessione è un tratto distintivo dei leader coscienti e consapevoli, la cui rappresentazione del mondo e di sé stessi è radicata nel sentire e nella recettività di ciò che accade intorno.

    Forse è questo l’ingrediente più prezioso per avere davvero un impatto concreto sull’evoluzione sostenibile della nostra società.

    Forse è questo l’ingrediente che ci serve per coltivare una longeva eredità.

    Qualcuno concretizza, il leader cosciente sente.

    Quando siamo davanti ad una scena difficile da comprendere possiamo agire in due modi:
    Possiamo semplificare, quindi concretizzare e dettagliare, eliminando, al contempo, ciò che è fuori dalla nostra rappresentazione schematica; oppure possiamo rimanere comunque recettivi, malleabili e pronti a includere.

    Il leader con un alto livello di coscienza è spirituale e sensoriale allo stesso tempo, poiché è profondamente ancorato al sentire e a ciò che succede intorno, mentre coglie i sottili punti di contatto tra le cose per trovare significati.

    L’espansione del sentire ci aiuta a riconoscerli.

    Un esempio?

    Per alcuni, il benessere umano equivale al proprio, per altri corrisponde al bene per la famiglia e per i propri cari. Per altri ancora è il Bene della comunità, del paese, del mondo intero.

    Tutte le persone desiderano benessere e felicità, in questo sono uguali, ma in scala sono diverse.

    Il leader altamente cosciente è recettivo, malleabile, inclusivo ed espande il raggio di questa scala. “guarda senza una ragione apparente” e considera il benessere del mondo una sua priorità.

    Wikipedia.it

    Huile sur toile (1925) de Vassily Kandinsky. Musée National d’Art Moderne, Paris, France. Donation Nina Kandinsky 1976. AM 1976-856

     

    La Fusione tra Spiritualità e Leadership:

    La spiritualità, intesa come capacità di vedere oltre, diventa parte integrante della leadership consapevole.

    In questa cornice, la tendenza umana universale a “volere di più” non è rivolta a un regno materiale, ma a qualcosa di intangibile che diventa una forza trainante delle azioni e risiede dello scopo profondo che sentiamo di voler perseguire.

    La Guida verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile:

    Il contesto attuale richiede una nuova prospettiva sulla leadership, che vada oltre l’acquisizione di abilità e conoscenze tecniche. È necessario concentrarsi sulla coltivazione dell’autocoscienza, dell’empatia e dello scopo nei leader, affinché possano comprendere i propri pensieri e le proprie credenze, i propri valori e il proprio scopo, allargando la loro plasticità, e la loro prospettiva. Si tratta di un impegno continuo e profondo. È un viaggio che richiede percezione, apprendimento e adattabilità.

    Solo attraverso una leadership consapevole e orientata al Bene Comune si può sperare di trasformare le sfide globali in opportunità e guidare il mondo verso un futuro sostenibile.

    Ecco perché oggi avere uno spazio di sviluppo personale è estremamente prezioso per guardare con lungimiranza e apertura verso gli SDGs.

    Le organizzazioni, in quest’ottica, diventano centri di trasformazione, in cui i manager hanno lo spazio di guardare dentro sé stessi e di lavorare insieme per diventare agenti del cambiamento tanto desiderato dal mondo. Le gerarchie tradizionali si sciolgono, aprendo spazio all’innovazione, alla collaborazione e all’autonomia. Le aziende assumono il ruolo guida nella sostenibilità, dove il profitto non è più l’unico motore, ma diventa un veicolo per il benessere di tutte le parti coinvolte e dell’ambiente in cui operano.

     

    Una curiosità?

    Per esercitare questo livello di consapevolezza le ricerche ci raccontano che non c’è niente di meglio di una storia mitica, dell’ispirazione artistica, di una favola ad alto impatto. Questi tipi di storie alimentano lo scopo dell’agire, tramandano messaggi e significati e sono carichi di spiritualità.

     

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